LA DOLCE VIA CORRADO ASSENZA - GASTRONOMIKA per Petra Molino Quaglia
Tra le pietre barocche di Noto e i profumi di una terra antica, Corrado Assenza vive la pasticceria come un gesto quotidiano di ascolto e attenzione. Con ricotta, capperi e fiori spontanei, intreccia sapori, stagioni e memorie in una ricerca delicata e continua della dolcezza naturale. Il suo lavoro è un viaggio, concreto e poetico, dentro la verità del cibo.
Se la vita di un pasticcere potesse stare dentro ventiquattro ore, Corrado Assenza chiederebbe che a raccontarla fosse James Joyce.
Perché solo uno sguardo come il suo saprebbe cogliere l’epica nascosta nei gesti ripetuti, nel profumo di un impasto, nella dolcezza che non è zucchero, ma attenzione.
Non è un vezzo colto, ma una chiave di lettura. Joyce, con il suo Ulisse, ha dato voce alla profondità nascosta nella quotidianità. Così anche nel lavoro di Corrado c’è una narrazione silenziosa, fatta di dettagli, materia, relazioni. I riferimenti letterari non servono a impressionare, ma a illuminare: aprono uno sguardo su un mestiere che è insieme concretezza e poesia.
E forse, dietro il bancone del Caffè Sicilia, sotto il sole gentile di Noto, c’è davvero un Ulisse. Non un eroe di guerre, ma un esploratore di sapori, memorie, stagioni. Un uomo che parte e ritorna, ogni volta con qualcosa di nuovo da offrire.
A Noto, l’anima vibra in barocco. Ma è accanto alla Fontana d’Ercole, sotto la luce chiara del mattino, che Corrado sceglie di iniziare il suo racconto. Davanti al Teatro Comunale, con alle spalle la chiesa di San Domenico, si apre uno spazio sospeso tra il tempo e la materia. È lì che prende forma, giorno dopo giorno, il suo mestiere — e molto di più.
Dal 1892, Caffè Sicilia è il salotto buono della città. Un crocevia d’accoglienza, una bottega di dolcezze e gesti antichi che la famiglia Assenza si tramanda da quattro generazioni.
«Io sono la quarta», racconta Corrado. «C’era mio fratello Carlo, finché c’è stato. C’è mia moglie Nives. E adesso c’è Francesco, nostro figlio, che già scalpita in laboratorio.»
Il passaggio avviene in silenzio. Si affidano ricette, consigli, ma soprattutto sguardi.
Chi entra al Caffè Sicilia spesso non immagina che dietro un cannolo o una cassata c’è un sistema di relazioni costruito sulla fiducia e sulla cura.
Come quella che lega Corrado a Franzino, amico da quarant’anni e compagno di strada nel mestiere.
«Quando entro nel suo caseificio e sento il vapore, dico sempre: “Nebbia in Val Padana!”», racconta.
È un rito. Un momento di intimità tra lui, la terra e chi la lavora.
La ricotta che affiora nella vasca ogni mattina è frutto di dedizione, rispetto per gli animali e attenzione al tempo.
«Senza il suo gesto», dice Corrado, «il nostro non potrebbe esistere.»
Quella ricotta arriva al Caffè all’alba. Diventa crema per i cannoli, cuore della cassata, base per il gelato di ricotta e pistacchio o per la torta con ricotta e cannella.
È un ingrediente vivo. Passa dalle mani di Franzino prima di arrivare sul palato degli ospiti. E racconta una storia.
Ma la dolcezza, per Assenza, non è mai solo questione di zucchero.
È una qualità da scovare, ascoltare, svelare.
In campagna, tra i campi ereditati dai nonni materni, Corrado raccoglie i primi germogli di cappero.
«Il cappero salato lo conosciamo tutti», dice. «Ma il sale lo violenta. Ne sposta l’aroma. Il miele, invece, lo conserva con gentilezza.»
È da intuizioni come queste che nasce la sua visione del cibo: una cucina della dolcezza naturale.
Finocchietto selvatico. Senape colta prima del seme. Rosa canina, che contiene dieci volte la vitamina C degli agrumi.
Ingredienti semplici, mai banali. Non decorano: dialogano.
«Il pasticcere oggi non lavora solo per il dessert. Lavora per portare dolcezze naturali in tutta la cucina, dall’antipasto al dolce.»
Così ogni ingrediente diventa occasione per ripensare il gesto. E il suo senso.
Il nespolo, ad esempio, è il primo fiore della nuova annata agraria. Fiorisce tra dicembre e gennaio.
«E guarda adesso: le nespole sono già pronte», dice. «Le raccoglieremo, le sciroppiamo, ne faremo una torta.»
Anche il limone, con poca luce, riesce a brillare.
«La natura ha una voce propria. Sta a noi darle ascolto.»
E allora, cosa resta da cercare?
«Dolcezza. Profumi. Cosa hai bisogno? Qua c’è tutto.»
Corrado si ferma, sorride. «In realtà basterebbero ventiquattro ore per raccontare la vita di un pasticcere… Ma a una condizione: che a scriverla sia James Joyce. E che il pasticcere si chiami Leopold Bloom. O forse Ulisse.»
Perché in fondo, tra ricotta e capperi, miele e fiori di campo, ogni giorno è un’Odissea — e ogni dolce, una forma di ritorno.
Non un’epica di conquiste, ma di attenzioni. Una letteratura del gusto che nasce dal silenzio, e che parla la lingua delle stagioni.
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