LA DOLCE VIA NICOLA OLIVIERI - GASTRONOMIKA per Petra Molino Quaglia
Cosa c’entra l’intelligenza artificiale con un panettone fatto a regola d’arte? A rispondere è Nicola Olivieri, quinta generazione alla guida di Olivieri 1882, una storica azienda di famiglia che da Arzignano ha deciso di portare l’arte della pasticceria lievitata nel futuro. E non per modo di dire.
Intervista a Nicola Olivieri, pasticciere e CEO visionario
Lo incontriamo tra impasti, lieviti madre e profumo di burro, mentre ci racconta come si passa da una bottega di 100 metri quadrati a una produzione artigianale da oltre 2000 panettoni al giorno. Spoiler: non si rinuncia mai alla qualità.
Nicola, cosa significa per te essere pasticciere oggi?
“Essere pasticciere oggi vuol dire lavorare a tutto tondo. Non solo sulla materia prima, ma su ogni singolo passaggio del ciclo produttivo. Viviamo in un’epoca in cui possiamo contare su tecnologia avanzata, intelligenza artificiale… e sì, sono molto curioso di vedere come questi strumenti possano supportarci nel nostro lavoro quotidiano. L’obiettivo? Usarli per raggiungere livelli di eccellenza ancora più alti”.
Parlaci di Olivieri 1882. Da dove nasce tutto?
“Siamo una famiglia di panettieri da più di 140 anni. Olivieri 1882 nasce proprio come panificio, grazie ai miei bis-bisnonni. Il nome lo dice già: c’è la data e c’è il nostro cognome. Oggi io e mio fratello Andrea rappresentiamo la quinta generazione. Siamo cresciuti nel laboratorio, impastando sin da piccoli”.
E com’è cambiata l’azienda nel tempo?
“Ogni generazione ha portato un’evoluzione. Dalla panificazione siamo arrivati alla pasticceria, sempre restando fedeli al lievitato come cuore del prodotto. Nel 2016 abbiamo fatto un salto importante: ci siamo trasferiti da una bottega di 100 mq a una ex fabbrica storica, quella della Pellizzari ad Arzignano. Lì è cominciato il nuovo corso”.
Oggi siete famosi per i vostri grandi lievitati. Perché questa scelta?
“Abbiamo deciso di puntare su un segmento preciso: panettone, pandoro e colomba. I grandi lievitati da ricorrenza sono una sfida bellissima. Ci rappresentano, raccontano la nostra storia e ci permettono di portare il nostro brand nel mondo”.
Ma come si fa a passare da 50 a 2000 panettoni al giorno senza perdere l’artigianalità?
“È stata la vera sfida. All’inizio facevamo 50 pezzi al giorno. Oggi più di 2000. Ma il metodo è rimasto lo stesso. Ci siamo dati un’organizzazione che ci piace definire da “artigiani organizzati”. Abbiamo strutturato i processi senza snaturare la qualità. E per assurdo… oggi il panettone ci viene anche meglio di prima!”
Qual è il segreto?
“Il lievito madre, prima di tutto. Ne abbiamo diversi: uno per il panettone, uno per il pandoro, uno per il pane. Se non è perfetto, non si impasta. E poi la maglia glutinica: la controlliamo a metà impasto. Quando è al punto giusto, possiamo inserire tuorlo, burro e frutta. E ovviamente, il fattore umano fa ancora la differenza. La manualità resta un valore. Va solo messa dove serve davvero”.
Cosa significa per voi qualità?
“La materia prima di altissima qualità è un prerequisito. Senza quella non fai un grande lievitato. Ma poi c’è tutto il resto: il processo, l’attenzione, la conoscenza”.
Come vedi il futuro della pasticceria?
“Sto finalmente vedendo una bella crescita del mondo bakery. E un ritorno ai gusti più semplici. Credo che le persone abbiano bisogno di autenticità, di prodotti comprensibili, veri. Mi auguro che anche la pasticceria segua questa direzione. E che noi possiamo continuare a contribuire, a modo nostro”.
Ultima domanda. Se Olivieri 1882 fosse un sapore?
“Sarebbe quello della pazienza. Perché tutto, da noi, ha bisogno di tempo per crescere. Proprio come un buon panettone”.
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