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Franco Aliberti: un funambolo in fattoria


“Io sono contaminato. Dalla cucina e dalla pasticceria. E sono contento di esserlo”. Franco Aliberti è un perfetto equilibrista, in bilico fra il dolce e il salato, l’estro e il rigore, le regole e i liberi schemi.

Uno chef sui generis. Un pastry chef outsider. Una spugna. Che tutto assorbe e tutto rilascia. Con assoluta saggezza. Seguendo il suo credo. Che ha principi ben saldi. Ancorati alle radici, alla memoria, alla terra e alle persone che la abitano. E che la curano, la coltivano e la nutrono di coraggio. Preservandola dall’oblio.

Ha le idee chiare Franco: classe 1985, origini campane - a Scafati, vicino a Pompei - e un passato tutto in salita. Soprattutto verso nord. Istituto alberghiero di Salsomaggiore Terme, in primis. E poi? Via con Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, Massimiliano Alajmo, Massimo Bottura. Con tanto di parentesi al ristorante Vite di San Patrignano, sulle colline di Rimini, e a Riccione con il formato multitasking di Èvviva.

Fino all’approdo in Bassa Valtellina. A Mantello, tra il fiume Adda e il Lago di Como, la campagna e la montagna. Precisamente a La Fiorida, la poliedrica creatura di quel visionario di Plinio Vanini. Un luogo che è tanti luoghi. Tutti insieme: fattoria, caseificio, agriturismo, centro benessere, ristorante stellato. Sì, La Preséf, ossia “la mangiatoia”. Giusto per non dimenticare il rural mood di una struttura che vive d’aria, di cielo, di acqua, di verde, di bianco e d’azzurro.

“Ma non ti manca il tuo paese?”, chiedo a Franco. “Assolutamente no”, risponde lui. “Qui ho tutto. E ho la fortuna di lavorare con prodotti che spesso non sono stati ancora esplorati. E io finché non spremo la materia non sono contento”. Lo si legge negli occhi che è felice. E il suo sorriso conferma una serenità di mente e cuore.

Dove la parola “evviva” alberga perennemente. Mentre lui si destreggia fra la cucina e le vacche di bruna alpina. Tra i fornelli e le capre di razza frisa valtellinese. Ha tutto a sua disposizione: latte, burro, panna, formaggi, ortaggi ed erbe.

Filiera corta? Molto di più. La Fiorida è una comunità agricola e autosufficiente. O quasi. “Gli ingredienti che mancano all’appello? Li prendiamo dai piccoli produttori del territorio. Persone eroiche. Che portano avanti la tradizione”, spiega Aliberti. Non a caso è proprio La Fiorida a promuovere il progetto Terra Alta di Valtellina.

Una mission ambiziosa e virtuosa. Che apre e chiude un cerchio. Dando fiducia a chi ha investito energia e fatica nel produrre in loco; valorizzando economicamente le lavorazioni agricole e artigianali oltre i 700 metri di quota; e sensibilizzando il consumatore a un acquisto etico e consapevole.

Traduzione: La Fiorida si impegna ad acquistare a un prezzo superiore del 50% questi alimenti local. Premiandone costanza e qualità e garantendo la continuità e l’integrità di un ecosistema altrimenti soggetto al saliscendi del mercato o addirittura destinato all’abbandono. E la Latteria Sociale di Mellarolo, in Valgerola, è un esempio riuscitissimo della valorosa iniziativa. Visto che le forme di formaggio giungono al caseificio della Fiorida per essere accolte, esposte e messe in vendita nella bottega. Insieme ad altre referenze indigene.  

Insomma, territorio, territorio, territorio. Filiera, filiera, filiera. Questo il mantra di Franco. E i piatti che prepara altro non sono che lo specchio esatto di questa filosofia.

Ma non è solo. Con lui c’è Gianni Tarabini, un profeta in patria (nato a Dubino, lì vicino). Lo chef col quale La Preséf conquistò qualche anno fa l’astro Michelin. “Tutto il menu è studiato, pensato e realizzato insieme a Gianni. È l’unico modo per far parlare i piatti in modo sincero”, svela il trentatreenne dai riccioli neri. 

“C’è un continuo scambio di idee, sapori e ricordi. Se così non fosse nascerebbero piatti eccessivamente individuali”. È invece alla coralità che puntano Gianni e Franco. Coralità di ingredienti, ma pure di una carta stellata che non presenta pietanze solitarie, bensì una sinfonia di portate. Che corrono fluide dall’antipasto al dolce. “Perché tutto è ragionato, dall’inizio alla fine”, precisa Franco. Tenendo fede a una serie di comandamenti.

Voilà il concetto di stagionalità. Qui elevata all’ennesima potenza. “Noi utilizziamo i prodotti al momento della loro maturazione. Oppure? Li raccogliamo e li congeliamo. Al fine di preservarne il gusto nel tempo senza perdere la qualità. E senza sprecare”. Altro verbo tenuto sottocchio a La Fiorida.

“Certo. Quando spremiamo gli agrumi recuperiamo la buccia, la facciamo essiccare e poi la grattugiamo o la riduciamo in polvere. E le foglie dei vegetali? Le candiamo. In modo tale da non gettare nulla”. Il ragionamento? È lo stesso di quello applicato al maiale. Altro animale ben presente nella modernissima fattoria.

Poi? C’è il discorso della trasversalità fra cucina e pasticceria. “Tempo fa preparavamo un dessert di nome Wild, a base di ristretto di manzo, bottatrice marinata, muschi e licheni”, racconta Franco. Che pesca dall’acqua dolce, ma anche dall’orto e dagli alberi da frutto. Dunque? Tartufo, topinambur, nocciola e cioccolato bianco. Green, veg, terra. Anzi, fin sotto la terra.

E poi: uva della pergola, vaniglia, pepe, pane e zucchero. Ossia la frutta, con una marcia in più.

Intanto, lo zabaione rende onore al genius loci. Preparato con le uova di selva di Morbegno - sì le galline razzolano libere nel bosco -, passito “Vertemate” (dorata sintesi di trainer aromatico e riesling) di Mamete Prevostini e bisciola. Dolce valtellinese che più valtellinese non si può.

E i mirtilli? “Li usiamo eccome. Sono quelli selvatici della Valgerola. Crescono tra i 1.300 e i 1.500 metri e li raccolgono le vecchiette del paese. Chine sulle rocce dove essi spuntano”. Mirtilli che Franco sublima in succo e meringhe. “Che possono essere viola, blu o grigie. A seconda del grado di acidità dei piccoli frutti”, come spiega presentando un dessert che le vede protagoniste allo stand di Petra - Molino Quaglia, in occasione dell’ultima edizione di Identità Golose.

Il dessert si chiama “Contadino” (pensato anche in versione estiva) e racconta una merenda di campagna… con una veste meno elementare e più sofisticata. Complici una mousse di formaggio di capra, avvolta da una pellicola di latte gelificata; e una crema di castagne (affumicate ed essiccate nelle baite) e acqua di cottura delle castagne stesse. “A cui aggiungo una foglia di alloro, per esaltare il sentore di bosco”.

Non da ultimo un crumble, a base di farina di grano saraceno germinato firmato Petra. “Perché la fase di germinazione è il momento migliore per assaporare un cereale. Che raggiunge la sua massima espressione. Anche in fatto di digeribilità e capacità di assimilazione”.

Un dessert perfetto anche per il menu de La Preséf. “Mentre per il breakfast in Fiorida puntiamo molto più sulla tradizione". Il che significa crostate, torte alle mele, yogurt, uova, formaggi, pane burro e marmellata. Ed è proprio “Pane, burro e marmellata” che Aliberti propone sempre allo stand Petra a Identità Golose.

Un dolce pronto a evocare memorie d’infanzia. Merito anche di un pane rustico, terragno, quasi ancestrale. Frutto di lunghe lievitazioni e di farine qualiPetra 1e Petra 9, segale, farro monococco,Cerealè e Bonsemì.

E con il pane, ecco il burro, ottenuto da panna di affioramento. Il burro per eccellenza, reso prezioso dal sale affumicato homemade. “A rammentare che, specialmente in inverno, nelle case valtellinesi il camino è sempre acceso”, precisa Franco. Fiero di completare il tutto con una confettura di mirtilli.

Sempre loro. I mini frutti viola. Che tornano. Per la merenda o la colazione. Oppure nei dessert del ristorante Quattro Stagioni, l’insegna più easy e smart della realtà di Mantello. Dove, fra sciatt, pizzoccheri, taroz e capretti si fanno largo il nettare di mirtilli di bosco con gelato allo yogurt naturale e panna montata del caseificio; il tiramisù con il mascarpone della fattoria; e la crostata di mele di Ponte in Valtellina con gelato al fiordilatte della “casa”.

Proposte variegate, pensate su misura per rispondere alle diverse esigenze di un posto eclettico come La Fiorida. Che ha differenti target e differenti tipologie di ospiti. E che spesso si deve pure cimentare nel banchetto. Incarnazione di qualità, bellezza, estetica e fruibilità. Lo si è notato in occasione dell’ultimo Fuorisalone di Milano. Quando alla Fabbrica del Vapore, tra raffinate atmosfere Belle Époque, ha preso forma l’evento The Golden Age, sotto il magnifico salone-serra targato Privitera.

A firmare il tutto? L’associazione Euro-Toques, presieduta da Enrico Derflingher. Gianni Tarabini e Franco Aliberti sempre presenti. Anche con uno splendido assaggio di dolci conclusivo. Giocoso, goloso, raffinato e prelibato. Perché così deve essere un buffet.

Cannoncini riempiti (di panna) in diretta, biscotti, frolle, cremini glitterati al Braulio, dragée, cioccolato alle nocciole da spezzare con le mani. E ancora bisciola e fioretto, tradizionale dolce valtellinese al finocchietto selvatico. Del resto, un po’ di tipicità non può mancare.

“Tutto deve sempre trovare il giusto equilibrio. Così come la tecnologia. Va usata, ma con buon senso. Ci sono prodotti che cotti al momento sono tutta un’altra cosa”, puntualizza Aliberti. Che non rinnega la sua attrazione fatale per il fuoco: “Datemi un pezzetto di legno e alcune pietre e sarò felice”.

Uno spirito libero e autentico Franco. “Adoro girar per boschi, seguire i pastori, parlare con gli animali e stare a stretto contatto con la natura. Anche da solo. Mi rilassa e mi ricarica”. Un eremita? Macché. Semplicemente uno che sente il respiro e il richiamo dell’ambiente. Anche questo è essere cuochi. E pasticceri.


Cristina Viggè
fonte: http://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=franco-aliberti-un-funambolo-in-fattoria



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