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come e dove Petra arriva in tavola
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La sostenibile italianità del panino


Maestria. Quella tipica italiana del saper fare e costruire. Territorio. Incarnato nel pane e negli ingredienti. Nel contenitore e nel contenuto. Pronti a formare un tutt’uno dall’altissimo profilo nutrizionale.

E poi creatività. Sintesi di genio, talento, lungimiranza e intelligenza. Capaci di trasformare pane e companatico in un chiaro messaggio culturale.
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Sono questi i principi cardine che sostengono il Panino Italiano. Sì, con le iniziali maiuscole. Quasi a sancire il nome e il cognome di una pietanza ambasciatrice di verità, artigianalità, identità e massima qualità.

Ben lo sa l’Accademia del Panino Italiano, fondazione - diretta da Barbara Rizzardini - nata con il preciso intento di difendere e promuovere l’unicità di un “piatto” simbolo del made in Italy.

E ben lo sa pure Molino Quaglia (di Vighizzolo d’Este), che con le sue farine Petra (macinate a pietra e figlie di solo grano italiano) e con le sue tappe di Bread Religion, ha concorso ad elevare il semplice assaporare in un rituale da rispettare: dalla produzione al consumo, dalla terra al morso. Affinché masticando ci si nutra di materia e di immaginario, di storie e di visioni.

Ecco allora che - nella sesta e recente edizione di Milano Golosa - sia l’accademia che il molino hanno sostenuto la dinamica e italica area PaniniAmo.

Animata da ben nove insegne virtuose - dalle meneghine Panino Giusto, Panini Durini e Amuse Bouche sino alla barese Peschef, passando per la pavese Alvolo, la piacentina Giusto Gusto, l’aquilana Venditti Porchetta, la napoletana Da Gigione e L’Antica Credenza materana - regionali espressioni di una fragrante nazionalità.

Un’area dinamica, nutrita da una serie di laboratori, lezioni e incontri “accademici”. Per una parte pratica di assaggio sul campo e una più didattica, fatta di riflessioni e digressioni.

Complice pure la presenza della Fondazione Birra Moretti - che ha la precisa mission di raccontare e far responsabilmente consumare la birra a tavola - e Berkel, da oltre cent’anni iconico e lussuoso simbolo del taglio perfetto.


Il dialetto degli ingredienti


Il panino parla italiano. E spesso si diletta nei vernacoli regionali. Facendosi portavoce di specialità e tipicità di un determinato terroir.

Così Giuseppe Vesi, patron di Pizza Gourmet (a Napoli e a Milano) propone il suo “Maremma Cheese Steak”, rilettura tosco-partenopea del più global cheeseburger.

“Dal momento che la farina 00 l’ho eliminata dalla mia filosofia, preparo un impasto con Petra 1 Petra 3. Partendo da una biga, sposando un’idratazione al 70% e rispettando una lievitazione di ben 72 ore”, spiega mister Vesi.

Che cuoce i suoi panini morbidi e tondeggianti a 180°C in un forno convenzionale per poi farcirli. “Con pochi ingredienti”, puntualizza il pizza chef.

Che nella carta-panini dei suoi locali inserisce il maiale nero casertano, i pistacchi di Bronte, i capperi di Salina, l’origano di Pantelleria, l’aglio rosso di Nubia, la ’nduja di Spilinga, il provolone del monaco, le alici di menaica, lo jambon de Bosses, il pesto genovese e la papaccella napoletana.

Detta anche riccia. Merito delle sue “bacche” piccole e costolute, ma dalla polpa carnosa e saporita. Che Giuseppe traduce in una crema dal tono rosso-arancio. Per poi accostarla a un’altra crema: di grana padano stagionato 24 mesi e latte nobile. Un latte ricco di nutrimenti, proveniente dai pascoli dell’Appennino Campano.

Altri elementi? Il sale dolce di Cervia, l’extravergine cilentano Terre dei Monaci e la carne bovina di razza maremmana: magra e proteica, visto che vacche, bovini e vitelli sono liberi di pascolare, controllati dai butteri. “Prendo il taglio della punta natica, lo faccio a carpaccio e lo riduco a pezzetti. Poi lo salto in padella”, commenta Giuseppe. Il risultato è un burger italianissimo. Quasi a patriottica memoria della scarpetta che si fa col ragù.


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Cristina Viggè
fonte: http://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=la-sostenibile-italianit%C3%A0-del-panino


Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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