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Una filiera da salvare o una filiera che ci salverà?

«Serviranno i “ristori” a salvare la ristorazione? E se affrontassimo il problema considerando i ristoratori (e sotto questo nome includerei cuochi, pizzaioli pasticcieri e panettieri) come parte attiva e trainante del salvataggio, piuttosto che come imprenditori da salvare?»


Viviamo una emergenza che ci spinge a leggere la realtà economica da angolazioni nuove. Ci siamo accorti, per esempio, che l’efficienza del servizio sanitario nazionale condiziona l’economia e non viceversa; e ciò deve essere tenuto in debito conto quando guardiamo al nostro futuro di imprenditori nel settore alimentare.

Serviranno i “ristori” a salvare la ristorazione? E se affrontassimo il problema considerando i ristoratori (e sotto questo nome includerei cuochi, pizzaioli pasticcieri e panettieri) come parte attiva e trainante del salvataggio, piuttosto che come imprenditori da salvare?

Mi spiego meglio: i ristoratori, insieme ai loro fornitori e ai contadini e allevatori a monte di tutto, sono parte di una squadra che si chiama filiera. E questa filiera ha fatto un patto con lo Stato, in base al quale, in corrispondenza di ogni somministrazione o vendita, devono riscuotere dal loro cliente consumatore finale le imposte e tasse sul consumo, per trasferirle allo Stato attraverso la filiera stessa. Iva e accise sono come il testimone che gli atleti si passano fino a portarlo al traguardo.

Iva e accise, insieme all’imposta sulle attività produttive, sono anche la principale fonte di finanziamento del nostro servizio sanitario nazionale: nel 2018 dei 118 miliardi di euro destinati alla copertura delle spese sanitarie delle regioni italiane, poco più di 66 miliardi provennero da Iva e accise e circa 30 miliardi da Irap e addizionale Irpef, insieme più dell’81% (fonte: VII Rapporto RBM Censis sulla Sanità pubblica, privata e intermediata pubblicato nel 2019).

Grazie al lavoro delle imprese italiane, e della loro capacità di attrarre i consumatori, la Sanità, in passato, ha potuto coprire la massima parte delle sue spese: ma cosa accadrà ora con il fermo delle attività? E se la filiera agroalimentare si dimostrasse capace di stimolare con nuove modalità di servizio i consumatori a mantenere alti i livelli di spesa superando la paura del contagio che frena gli acquisti? Soprattutto in un periodo nel quale la massa dei risparmi è alta come non mai (vedi Sole 24Ore del 9 luglio 2020, Risparmio: italiani impauriti da Covid, boom liquidità e per 7 su 10 redditi ok).

Insomma, portando agli estremi questo ragionamento, aumento dei prezzi nella filiera alimentare e aumento contemporaneo delle aliquote iva produrrebbero maggiori risorse disponibili per la sanità pubblica e ridurrebbero gli sprechi di cibo, perché i consumatori spenderebbero con maggiore consapevolezza, comprando il necessario e premiando la qualità.


Piero Gabrieli
fonte: https://www.identitagolose.it/ermes/newsletter/?id=348

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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