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come e dove Petra arriva in tavola
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Giolina très jolie


È romantica e rock, dandy ma friendly la nuova creatura milanese di Ilaria Puddu e Stefano Saturnino...
 

Una pizzeria dalla borghese attitude, urbana ma mediterranea, che punta i riflettori su impasti d’eccezione, materie prime artigianali e vini naturali. Non dimenticando cocktail d’autore

«Perché Giolina? Perché amo i nomi con la “G”. Perché è il vezzeggiativo tutto meneghino di Angela. E perché piacerebbe anche a Parigi», spiega Ilaria Puddu, la giovane imprenditrice che, insieme al socio Stefano Saturnino, ha dato una virata sofisticata alla ristorazione “non stellata” milanese. Alzando l’asticella dell’offerta smart e pop della pizza. Basti pensare a Marghe. Che se da neonata fece parlar di sé, ora, con ben due insegne in the city (in via Plinio e in via Cadore), conferma il suo essere raffinata e ricercata. Pur rimanendo ancorata a un sobrio e quasi scarno minimalismo industriale.

«Marghe è sartoriale. Pizzium invece è stata pensata ad hoc per esser replicata», continua Ilaria, facendo riferimento all’altro concept messo a punto con Saturnino. Che oggi conta tredici insegne in tutta Italia, di cui quattro solo a Milano. Un format di successo, che nella moltiplicabilità mantiene altissima la qualità. Cardine valoriale intorno al quale si muove sapientemente madame Puddu. Anche e soprattutto con la nuovissima Giolina. Che appartiene a una family ancor più dandy e chic. In quel suo miscelare intellettualità, eccentricità, vanità e piglio rock. In quel suo essere libera da regole, puntigliosa e al contempo ribelle, regale e altera all’apparenza, domestica ed empatica nella sua vera essenza.

Una pizzeria vintage-millennial Giolina, posizionata in zona Porta Venezia: in via Bellotti 6. Sorella meneghina di una pasticceria dalla cifra solare e meridionale quale Gelsomina. Che invece se ne sta in via Carlo Tenca 5, fra maioliche, madie decapate, sedie in ferro battuto, tazze floreali, maritozzi e confetture di gelsi neri. Promettendo colazioni, pranzi e merende colme di bellezza.

Giolina preferisce l’abito da cocktail. Apre al tramonto, quando Gelsomina chiude le persiane davanti al giorno che si fa sera. Perché Giolina è yin, mentre Gelsomina è yang. Gelsomina ama la luce.

Giolina preferisce la notte, le nuance soffuse, il pianoforte, i lampadari artigianali cristallo, le candele, i candelabri e i libri: 5.200 per la precisione. Tutti in fila lungo gli scaffali che profilano i soffitti. Con il lato pagine ben in vista.

Mentre i pavimenti svelano cementine esagonali, vecchia Milano addicted. Uno spazio profondo, a tratti rétro, a tratti contemporaneo. Un ambiente che mixa saggiamente un’ordinata bottigliera verticale e un informale bancone orizzontale, un salottino riservato e un social table centrale. Quasi a ribadire l’anima conviviale del luogo. Che conta su una grande sala, pronta a esibire tavoli dalle granitiche superfici e sedute dalla trama in legno e paglia di Vienna. A ricordare il rassicurante comfort di una casa borghese. Impreziosita da una carta da parati setosa e floreale. Fiera di dialogare con la scabra ruvidità dei mattoni.

Sul fondo, come un altare in una cattedrale, il forno a legna e il dinamico officiare dei pizzaioli: Danilo Brunetti, originario di Cetraro, in terra cosentina; e il suo aiuto Antonio Baiano, che invece viene da Pozzuoli.

Calabria e Campania, per una pizza che sente il solare richiamo del sud. Napoli style, non vi sono dubbi. Con un cornicione soffice, vaporoso, opulento, esuberante. Grazie a un impasto che arriva sino a trenta ore di lievitazione, dando voce a una farina macinata a pietra come la Petra 3 di Molino Quaglia.

«Qui le farine raffinate le abbiamo totalmente eliminate», puntualizza orgogliosa Ilaria. Che punta dritto all’eccellenza. Selezionando attentamente la provenienza dei prodotti. Della serie, i pomodori sono della salernitana Casa Marrazzo; l’olio extravergine - monocultivar coratina - è del pugliese frantoio Guglielmi di Andria; i latticini vengono dal Caseificio Barlotti di Paestum; il capocollo di Martina Franca è targato Salumificio Santoro e il prosciutto di Parma è griffato Casa Graziano.

Undici le pizze. Tante quanto i giocatori di una squadra di calcio ben allenata a far goal. Battezzate con i numeri in dialetto milanese e anticipate da un motto altrettanto ambrosiano: “Magna, bef e tas s’at vo vivar in pas”.

Dunque? Vün: una Margherita col twist, nel suo legare fiordilatte d’Agerola, pomodoro San Marzano dell’Agro Sarnese-Nocerino, parmigiano reggiano di 42 mesi, extravergine e basilico fresco. Mentre la rilegge la classica Marinara, facendo focus sul rosso. Con un poker di pomodori: San Marzano, corbarino, nero e del piennolo del Vesuvio. Più aglio nero di Voghiera e origano di collina.

La Trì rende onore alla mozzarella di bufala campana, aggiunta a crudo. Insieme a una passata di pomodoro corbarino e pepe nero di Sarawak. Mentre la Quater inverte il senso della parmigiana, esibendo crema di melanzane violette, provola agerolese affumicata, pomodorini del piennolo e cialde di parmigiano. A regalare il tono crunch. E se la Cinch si distingue per le scaglie di pecorino di Pienza, la Ses rivela la sua anima green, inanellando pomodorino corbarino, scarola al vapore, olive taggiasche, uvetta sultanina e pinoli tostati. Una vegana dal sapore rock’n’roll.

Una pizza list che è un'escalation di sapori, via via più marcati. Tant’è che la Set omaggia la ventresca di tonno, la cipolla ramata di Montoro, una riduzione di sedano e carote e una polvere di olive; la Vot fa dialogare asparagi e capocollo; la Nöff si inchina alla Sicilia, eleggendo mortadella di maialino nero dei Nebrodi, fave e vastedda della Valle de Belice; la Des intreccia salsiccia artigianale al finocchietto, pomodorino del piennolo vesuviano e carciofi freschi; e la Vündes mette in connessione San Marzano, fiordilatte agerolese, ricotta al profumo di ginepro e prosciutto di Parma stagionato 30 mesi.

Pizze. Ma anche qualche antipasto. Come il pane casereccio con il lardo di Colonnata e il miele di castagno biologico; la burrata pugliese con i pomodorini confit e il pesto di cavolo nero; nonché le puntarelle con le acciughe.

In abbinamento? Vini naturali, suddivisi in cinque bolle, sette bianchi, sette rossi, due da dessert e due stranieri, i cosiddetti “Nos Amis”.

Ecco allora lo spumante “Ancestrale Pinot Nero” (vinificato in bianco) del pavese Castello di Stefanago; il “Magico” della casa vinicola trapanese Ferracane, da uve grillo coltivate a ridosso dello Stagnone di Marsala; il “Casa e Chiesa”, emozionante merlot della lucchese Tenuta Lenzini; e il “Pioggia di Stelle”, ammaliante Moscato di Noto della Cantina Marilina. Perfetto con i dolci: alcuni fatti in casa, altri nella pasticceria Gelsomina. Che sempre della famiglia è. Dal tiramisù alla sbrisolona, dalla colomba artigianale con crema al mascarpone sino al gelato allo zabaione con panna e amarene.  

E poi? C’è il vero lato rockettaro del locale. Espresso in undici cocktail, creati in collaborazione con un bartender-imprenditore quale Flavio Angiolillo, deus ex machina del Mag Café, del BackDoor43, del 1930, dell’Iter.

«Abbiamo preferito una bottigliera snella ma colta», dichiara Angiolillo. Che per Giolina ha messo a punto una serie di drink fatti su misura per esser sposati con la pizza. Come il “Gasperin”, con Cynar, Campari, vermouth Martelletti, cetriolo, crusta di sale e oliva. Che torna nel “Martin”, rilettura di un grande classico, complici il Mediterraneo by Farmily e il Q vermouth dry. E ancora, il vigoroso “Angiolin” con Campari, Vermouth del Professore ambrato, Old Sailor Coffee e mezcal Bruxo n°1; e il “Ceschin”, che reinterpreta il French 75, grazie a Champagne, Caroube Botanical Spirit, Pineau des Carentes, limone e zucchero al rosmarino.  

Ma ci sono pure il “Luisett”, con whisky Laphroaig Quarter Cask, Amaro Farmily, angostura, sciroppo di origano e menta e lime; il “Gianin”, twist sul Margarita, cui concorrono mezcal pure Single Palenque, Farmily Mediterraneo, liquore alla camomilla, pimento, sale e lime; e il “Sandrin”, con Campari, pompelmo rosa e ginger beer.

Mentre il Gin Tonic sublima in “Ambrosin”, a base di Gin Giass, Laphroaig Quarter Cask, sciroppo di origano e acqua tonica; il “Carlett”, strizza l’occhio al Manhattan, grazie a vermouth Cocchi, L’Aromatico di Farmily e distillato d’acero; e il “Pedrin” fa il verso al Pimm’s Cup, grazie ad Amaro Lucano, frutta, ginger beer e ginger ale.

E il “Ghielm”? Ammicca all’Old Fashioned, miscelando rye whiskey, Farmily Asia e sciroppo-riduzione di Negroni. Tutti da provare prima di cena, in accompagnamento alla cena o dopo cena. Tanto Giolina va in scena dal martedì alla domenica, dalle 18.30 all’una di notte.


Cristina Viggè
fonte: http://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=giolina-tr%C3%A8s-jolie

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