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come e dove Petra arriva in tavola
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Bis in Brera, a Milano, per la pizzeria Ci Sta: format ambizioso che punta sull’italianità


Milano è una grande piazza italiana della pizza di qualità: c’è chi ne sceglie una e non la tradirà mai, c’è chi va un po’ qui un po’ là perché si rende conto che scegliere tranchant la preferita è davvero una missione ardua…

Altre volte è solo un perpetuo peregrinare verso la pizza del cuore. Ebbene, per chiunque sia ancora in viaggio, che si fermi pure da Ci Sta, per un assaggio d’Italia raccolto in una fetta di pizza.

È la sede numero due quella di via Castelfidardo, inaugurata lo scorso settembre, mentre la prima, in via Procaccini, ha aperto nel maggio scorso, agli sgoccioli del secondo lockdown. Un periodo non propriamente felice, eppure le soddisfazioni non hanno tardato ad arrivare e dopo pochi mesi, i nuovi progetti sono diventati già realtà. Scelte di pancia? Azzardo? Niente di tutto questo, bensì la visione pragmatica e ragionata dell’imprenditore Nico Grammauta che sorregge e orchestra il dietro le quinte dell’universo Ci Sta, un modello di pizzeria (pre)destinato a crescere, e superare i confini del Belpaese.

Palermitano d’origine, da 22 anni a Milano, dopo esperienze significative nel campo della finanza, Nico approda nel comune meneghino e quindi, nei board amministrativi, di Pizzium e Temakinho. Poi dritto e spedito nell’obiettivo di creare un’impresa tutta sua.

«Nessun progetto può reggere se alle spalle non esiste una visione imprenditoriale lungimirante, che non può soffermarsi esclusivamente sulla bontà del prodotto, ma deve studiare con prospettiva i passi da compiere, con discrezione e tanta serietà. Eppure non ci siamo mai fatti sfuggire dalla mente che le persone, dopotutto, non si aspettano una lezione di finanza qui da Ci Sta, ma un posto che li faccia stare bene. E, più di tutto, una buona pizza».

E pizza sia: ad alto contenuto d’Italia, con ingredienti che percorrono la Penisola dal Nordest alla Sicilia di Nico, dunque dal prosciutto friulano di Cormons, al cappero di Pantelleria. Insomma, ogni ingrediente è una scelta territoriale consapevole, che si inserisce in un quadro più ampio. Ossia: considerare i propri fornitori e dipendenti quali asset fondamentali per un’impresa di successo.

«Vogliamo creare un legame forte con i nostri fornitori che, nel tempo, sono diventati amici. Ci sforziamo di comprendere le esigenze reciproche, per crescere insieme. Per esempio, tutti i nostri impasti nascono da una macinazione personalizzata pietra-rulli di ghisa di farina Petra, con una formulazione messa a punto nel laboratorio di Petra Molino Quaglia, per poter realizzare il modello di pizze e focacce alla base del progetto. E una simile sinergia coinvolge anche per la squadra di Ci Sta».

Come nel caso di Enrico Formicola, responsabile del prodotto e della produzione, fornaio e pizzaiolo, che con Nico ha studiato una pizza in grado di esprimersi in tutta la sua italianità: tonda, soffice e leggera; 33 cm di diametro con un cornicione da 2,5, un guscio sottile e croccante di sofficità. Piccole attenzioni che riescono a renderla digeribile e deliziosa.


Marialuisa Iannuzzi
fonte: https://www.identitagolose.it/ermes/newsletter/?id=486

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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