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Innamorarsi di un mestiere e farci un film: "Le mani in pasta" e l'arte del cibo a Torino


Che cosa si cela dietro un'eccellenza enogastronomica? Marino Bronzino nel suo documentario racconta le storie di cuochi, camerieri e grandi imprenditori del food che hanno mollato tutto per amore: del proprio lavoro

Quando si parla del meglio che un territorio può offrire, si ricorre spesso al vocabolo “eccellenza”. Suona bene ed è chic, ma è anche un’etichetta un po’ accademica, che finisce per generalizzare e nascondere le vicende personali di chi ce l’ha fatta. Dal di fuori hanno le sembianze di inarrestabili marce da predestinati, in realtà si tratta spesso di tentativi, scommesse, aggiustamenti cammin facendo.

Alcune di queste storie dell’enogastronomia piemontese vengono ora raccolte nel documentario "Le mani in pasta" di Marino Bronzino, sostenuto da Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund. Presentato in anteprima lunedì 14 giugno alle ore 20 all’Ambrosio Cinecafè di Torino, il film sarà poi in programma da martedì 15 a venerdì 18 con spettacoli alle ore 18 e 20.

Il doc di Bronzino racconta di Massimiliano Prete, partito dai cestini di pane per i ristoranti e approdato al concetto di pizzeria gastronomica. Ne apre due, una a Saluzzo e una ad Alba, poi le chiude e infine trova il successo con Sestogusto, in via Mazzini a Torino.

C’è Beppe Gallina, fornitore di pesce per molti locali, che alla fine si mette in proprio con la pescheria/ristorante che porta il suo nome. È a Porta Palazzo e oggi conta 18 dipendenti. C’è Martino Patti, che riesce a laurearsi grazie a borse di studio, porta a termine un dottorato alla Normale di Pisa, trova impiego alla Treccani e infine molla tutto, per allevare capre a Castagneto Po, alla Cascina Badin. E poi c’è Anton Aaron Biondo, di padre siciliano e madre filippina, che si diploma all’Accademia delle Belle Arti. ma non riesce a rinunciare al suo sogno di fare il cameriere, diventando un direttore di sala di straordinaria bravura. È suo lo sguardo che collega fra loro tutte queste parabole umane e professionali, accompagnando lo spettatore in un cammino pieno di sorprese.

A questi percorsi meno noti, Bronzino (originario di Novaretto, frazione di Caprie, nel torinese) ha poi aggiunto anche i due casi scuola delle Aziende Vitivinicole Ceretto e di Eataly, puntando dritto ai loro creatori, Bruno Ceretto e Oscar Farinetti.

«Devo essere onesto, il mio è stato un tentativo o poco più», confessa il regista. «Oggetto di continue interviste e servizi televisivi, pensavo avrebbero cordialmente rifiutato la mia proposta. Invece è capitato esattamente il contrario: si sono appassionati al film e hanno collaborato con estrema disponibilità alla sua realizzazione».

La pandemia ha lasciato "Le mani in pasta" sospeso per lungo tempo in un limbo. Dopo aver resistito alla tentazione di distribuirlo in streaming, ora Bronzino si gode l’uscita in sala di quello che è a tutti gli effetti il suo primo lungometraggio, dopo i corti – sempre a tema enogastronomico – "Chef per una notte" (2012), "L’impasto originale" (2017), "Cascina Badin" e "Ivan Milani lo chef tardivo" (2018).

«Ci ho impiegato quattro anni a portare a termine “Le mani in pasta”, spiega Bronzino. «È un film che racconta di persone innamorate della propria missione. L’ho girato pensando a mio padre che di giorno faceva l’operaio e la sera e i fine settimana il barbiere. Sembrava Libertino Faussone, il protagonista del romanzo di Primo Levi “La chiave a stella”. Proprio da quel libro ho tratto la frase citata nel film: “L’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la miglior approssimazione concreta della felicità sulla terra”».



Fabrizio Accatino
fonte:https://www.repubblica.it/ilmgusto/2021/06/11/news/innamorarsi_di_un_mestiere_e_farci_un_film_le_mani_in_pasta_e_l_arte_del_cibo_a_torino-305525414/


Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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