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La Taverna del Porto a Tricase: sul mare di “Vituccio ‘u nostromo”


Il Salento ha fame di tante cose: il lavoro, un tessuto industriale compiuto, le infrastrutture, un po’ di coscienza civica e consapevolezza in più. Ma quando scoppia l’estate, sconvolgendo da par sua armadi e ritmi circadiani, i salentini si sentono riscattati...

Possono finalmente andare al mare. Abitudine che in verità non abbandonano mai, durante l’anno, se non altro perché in mezzo al mare – anzi, in mezzo ai mari – ci vivono, e quindi uscendo e circolando qua e là, prima o poi, si imbattono in quella gran massa d’acqua azzurra che li fa sentire fortunati sempre e comunque. Anche quando fortunati non sono.

Immaginate dunque il tormento dei mesi del lockdown per quelli che, vivendo magari a Lecce o in un comune dell’entroterra, si sono dovuti dimenticare a viva forza di quella meta agognata: l’assenza più grande, nella loro esistenza, altro che forzatamente separati da genitori o fidanzati. Più di uno si è fatto multare, inventando le scuse più assurde per giustificare la voglia di dieci minuti sulla spiaggia; qualcuno si è inimicato addirittura il presidente Conte, facendosi beccare su Facebook - furbo, molto furbo - a dileggiare l’autorità costituita, e a spasso sulla litoranea che conduce a Santa Maria di Leuca. Finibus terrae dopo i quali il mare si fa orizzonte assoluto e stereofonico. Infinito leopardiano.

Il mare, insomma, è la dimensione naturale dei salentini, che a volte, oltre che ragione di vita, ne fanno arte. E tradizione familiare.

Come alla Taverna del Porto di Tricase, una manciata di chilometri più giù delle perle barocche della “Firenze del Sud”, nota anche come Lecce. Dove la storia di Vito Coppola, detto “Vitucciu ‘u nostromo”, contadino/pescatore da sempre concentrato sulla raccolta di tesori dalla sua “terra di mare”, ha gettato nei decenni scorsi le basi di un successo che sì, dipende anche dalla sala d’attesa che accoglie chi si appresta ad approcciarsi all’offerta enogastronomica del locale. Basta attraversare una strada larga due metri, forse anche meno, e ci sei. E da lì, se vuoi, puoi anche tuffarti nell’Adriatico: basta una bella rincorsa.

Ma non è solo questa, evidentemente, l’origine del gradimento generalmente riservato al locale, anche in questa strana estate covidiana: sold out ogni sera, anche se solo di turisti italiani, così per riuscire a sedersi su una di quelle sedie volutamente ichthyic, fishy chic ci vuole la prenotazione.

Chi l’avrebbe mai detto? Ci pensò Mario, undicesimo figlio di un signore tutto casa e mare, a diventare a sua volta moltiplicatore di pani e di pesci in maniera autonoma dal padre, peraltro felice di quella decisione. Non che Mario avesse deciso di abbandonarlo, quel fonte battesimale di vastissime proporzioni: dovendo garantire nutrimento a se stesso e alla sua giovane moglie Enza, cominciò a imbarcarsi con i pescatori del luogo. Ma nel 1985, dopo la nascita del primogenito Alessandro e due mareggiate brutte come la fame, Mario raccolse il messaggio del cosmo e decise di tirare i remi in barca, letteralmente. Trovando però il modo di non abbandonare la sua passione: il pesce. Aprì così la sua prima pescheria, totalmente vocata sui regali del suo mare, convincendo prima Enza, poi i figli Alessandro e Pierluigi ad andargli appresso. E ad estendere il business.

I mercati cambiano, infatti. Così fu Alessandro, a capire ad un certo punto che era tempo di mettere a fuoco un’idea, e di coinvolgere i fratelli Pierluigi e Silvia nell’avventura della Taverna del Porto, proprio in quel luogo piccolissimo che aveva visto nascere e crescere il piccolo Mario. Dove mamma Antonietta cresceva undici bocche da sfamare e “ Vituccio ‘u nostromo” coltivava la terra. Ma vista mare.

Così venne inaugurato il terzo tempo di un’avventura tutta ittica, appunto. Dove la materia prima è presto detta: una flotta di barche ogni giorno esce dal porticciolo del Porto Museo di Tricase per approvvigionarsi del miglior pescato locale che papà Mario, all’alba, seleziona per garantirsi la migliore qualità.

Promuovere l’origine degli ingredienti, rispettarne la stagionalità e ricercare le eccellenze del territorio è infatti la prima regola della Taverna, insieme al fatto di portare in tavola tutti i giorni, ai clienti, “ciò che noi per primi vorremmo mangiare”, spiega Alessandro Coppola.

Una cucina concreta, essenziale, che ovviamente viene dal mare e al mare torna – prova ne è la tovaglietta sui tavoli, della stessa carta che viene usata per incartare pesci e formaggi al mercato – e il pesce protagonista assoluto della performance culinaria: crudo, smontato, grigliato, fritto, in zuppa, al forno., e se ci fossero ancora altri modi per presentarlo siamo certi che qui troverebbero espressione.

Grande semplicità, quindi, orchestrata dalla mano sicura del giovane chef Giovanni Ingletti.

La bellezza del locale sta infatti nel suo banco a vista: una vasca di marmo colma di ghiaccio ti porta subito indietro nel tempo, ai mercati coperti, e alla superficie su cui viene adagiato il pescato fresco, che può essere visionato direttamente dal cliente prima di ordinare.

Dal nuovo forno posizionato in terrazza Riccardo Serafino sforna invece tutte le mattine pane salentino, “simeddhe” e “pucce” con le verdure e con le olive, oppure con alici e mortadella, da degustare in attesa della cena insieme ai grissini ai multicereali della casa. Niente pizza per ora, invece, sulla terrazza vista mare: sono mesi difficili, questi, meglio evitare complicazioni in attesa di capire dove andremo tutti a parare. Invece tutti gli altri ingredienti della cucina della casa - dalla pasta al pomodoro, dai vini alle birre - si possono acquistare a fine cena, a riprova del fatto che non si possono non condividere le emozioni. E poi qui il mare unisce, non divide.

Piccola novità del momento: in cottura un progetto, “Terra di mare”, ispirato al mitico Vituccio contadino-pescatore, e l’ingresso nella carta dei vini del locale dei “naturali” da abbinare al pesce. Sembra strano, no? Ma non lo è. Questa è una terra di alchimie inedite, e sempre vincenti: Maria Grazia Chiuri, direttrice creativa di Dior con origini proprio tricasine (lei è nata a Roma, ma da qui veniva suo padre), ha voluto Lecce e la sua stupenda piazza Duomo, la settimana scorsa, per inscenare la Cruise collection 2021 della maison parigina, approdata via social anche a Singapore, a Taiwan e in Australia: 28 milioni di visualizzazioni, finora, e articoli su tutti i giornali del mondo. Anche lì un insolito connubio – ma sarebbe meglio dire terzetto - ovvero l’alta moda, le luminarie e la Notte della Taranta. E’ stato un grande successo: nel Salento, ormai è chiaro, ogni abbinamento è possibile.


Leda Cesari
fonte:
https://www.repubblica.it/dossier/sapori/guide-espresso/2020/08/03/news/la_taverna_del_porto_a_tricase_sul_mare_di_vituccio_u_nostromo_-263617425/

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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