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La dolcezza deve conquistare tutto il menù


Chef di pasticceria e chef di cucina sono due mestieri contigui, ma profondamente diversi. Il motivo è semplice.Ne parlano Aliberti, Assenza e Fanella.



«Tecnicamente la pasticceria è diversa, è parente stretta della chimica e non può prescindere dall’utilizzo della bilancia, del controllo delle temperature», concordano i due Ambasciatori del Gusto Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto e Franco Aliberti de La Preséf  ristorante gourmet dell’Agriturismo La Fiorida, insieme a Loretta Fanella, pastry chef che dopo le sue esperienza da Carlo Cracco, Ferran Adrià e all’Enoteca Pinchiorri, si dedica alla formazione.

Nell’alta ristorazione, poi, la figura del pastry chef è fondamentale perché il dessert al piatto non è una portata come un’altra, ma quella che chiude un’esperienza.

«Preparare i dolci nell’alta ristorazione è uno sporco lavoro. Intanto perché il dolce arriva alla fine del menù quando il cliente è quasi già appagato ed è difficile tenere desta la sua attenzione», sottolinea Aliberti.

«Oggi il lavoro del pasticcere si concentra molto sulla ricerca della leggerezza e di quell’acidità che deve aiutare a fine pasto. Ma – ricorda – non bisogna mai dimenticare che un dolce deve appagare vista e palato, essere allettante, calibrato e adeguato al menù e non deve mai sottovalutare la parte ludica».

Sul perché, invece, il pastry chef sia una figura fondamentale dell’alta ristorazione, Aliberti che attualmente si occupa indifferentemente di pasticceria e cucina, è chiaro.

«Un pasticcere – spiega – è abituato ad avere pilastri come chimica, scienza, precisione ed etica. In cucina, invece, non esiste la precisione della pasticceria, non è fondamentale conoscere in dettaglio ogni reazione chimica che si innesca durante la preparazione. Così mettere il cuoco in pasticceria è più complicato che mettere il pasticcere in cucina».

«Il percorso dal dolce al salato – osserva infine – mi ha permesso di trasferire in cucina un approccio e una visione degli ingredienti diversi da quelli di chi ha sempre lavorato con i piatti salati».

«Più che di un pastry chef a me piace parlare di uno specialista della dolcezza che, nel mio organigramma ideale, dovrebbe avere spazio di intervento dall’antipasto al dolce perché in ogni partita, in ogni piatto, in ogni preparazione può esserci spazio per la dolcezza a patto che non sia zuccherina, ma naturale», si espone Corrado Assenza.

«Una grossa pecca della cucina contemporanea è la mancanza di formazione del cuoco non allenato al “mistero” della dolcezza. Oggi siamo in una fase di conversione della cucina ed è necessario allevare una nuova generazione di cuochi non lobotomizzati che accanto all’emisfero sapido devono coltivare anche quello dolce. Ai cuochi in formazione servono tonnellate di ore di lavoro e non di televisione», è la riflessione del Maestro.

«È un passo culturale ed epocale: occorre ridisegnare la cucina contemporanea perché non si può pensare che in un primo piatto come il riso o la pasta, se facciamo riferimento all’Italia, non ci sia una sua dolcezza naturale che può essere sfruttata, valorizzata o esaltata accanto alla sua sapidità», chiarisce.

Sulle caratteristiche del dessert di fine pasto, invece, Assenza non ha remore a parlare dell’assoluta necessità di «coerenza con il menù».

«Sempre nel mio schema ideale io non ricorrerei alla carta dei dolci, ma inserirei i dolci nella carta principale perché come per le altre pietanze fa parte di un percorso», aggiunge.

Va da sé che il dessert deve avere «stagionalità, territorialità, freschezza, leggerezza, eleganza, forma visiva sul palato. Deve essere, quindi, un’emozione nell’emozione perché è l’ultima e può diventare un coperchio di piombo o una piuma».

«La pasticceria è diversa dalla cucina salata, richiede una precisione e un’attenzione particolare perché, ad esempio, nella preparazione di un lievitato non si può prescindere dall’umidità dell’aria. Per la pasticceria occorre molto di più e non ci si può improvvisare: serve attenzione e dedizione», osserva Loretta Fanella che ha fatto anche esperienze in cucina.

Sull’ideazione del dessert al piatto, poi, Fanella ricorda come «all’arrivo del dessert la pancia è già piena e lo si mangia o perché si vuole qualcosa di dolce o per concludere bene il pasto: per questo è necessario equilibrare i sapori degli ingredienti».

«La chiave di un dessert di chiusura pasto – continua – è l’utilizzo di poco zucchero e le note di acido e salato, elementi in grado di stimolare di nuovo il palato. Contro la stanchezza del pasto bisogna usare anche il divertimento e la curiosità magari combinando bocconi diversi».

Curiosità che, però, non deve mai andare troppo oltre seguendo tout court le tendenze che, in questo momento, contemplano ingredienti non tradizionali anche in pasticceria. «I clienti vanno prima fidelizzati per poi – conclude – magari stupiti ogni tanto».


Mariella Caruso
fonte: http://www.ambasciatoridelgusto.it/2018/03/la-dolcezza-deve-conquistare-tutto-il-menu/


Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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