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come e dove Petra arriva in tavola
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Trani capitale (del gusto) di Puglia


Quando sia accaduto con esattezza, e come, nessuno può dirlo. Certo è che nel breve volgere di una manciata di anni, Trani la bella, sinuosa, opulenta, elegante signora di Puglia, Trani gonfia d’aria e di luce come nessuna, ha acquisito di diritto anche il titolo di capitale golosa della regione...

Dal Salento al Gargano, passando per Murgia e Valle d’Itria, non c’è luogo che possa contenderle il titolo per concentrazione e numero di insegne che anche da sole varrebbero il viaggio. Nemmeno Ceglie Messapica, già fu terra di gastronomia dove resistono poche per quanto granitiche certezze.

Trani oggi unisce e impera, sfoggiando un articolato mosaico di indirizzi deluxe – dove lusso vale per gusto, condensando due peccati capitali in uno – frammenti di tavole che parlano un melting pot di linguaggi, quello dell’haute cuisine ma anche il dialetto verace della cucina marinara di tradizione, quella del cibo di strada, del tagliere ma anche del cocktail d’autore.

Dal fine dining all’indirizzo più pop, ma con una spinta fuori dall’ordinario sul buono, meglio se sano e giusto. Sia che la cucina dimori in architetture maestose abbarbicate sul mare o nelle retrovie urbane dove del mare resta solo l’odore, nell’atmosfera e nel piatto.

Bella, era bella anche prima. Con l’austera cattedrale romanica a precipizio sul mare, il monumento sinuoso dell’ansa portuale entro cui la darsena accoglie tanto gli yacht scintillanti quanto i minuscoli pescherecci tinti d’azzurro tenuti a battesimo con una romantica teoria di nomi di donna.

La chiamano perla, questa città, con la silhouette del lungomare Cristoforo Colombo che si allunga come un corpo di femmina dalle curve generose, intriganti da parte a parte. E la luce abbacinante, d’inverno e d’estate, riflessa dallo specchio di mare e dal candore della pietra che prende il nome dalla città restituendole monete di fama sonante.

Sulle ampie volute della costa veglia la mole grandiosa della cattedrale, la torre campanaria che svetta a poco meno di 60 metri d’altezza, ma anche quelle del palazzo di giustizia e il castello Svevo a pianta quadrata dove il puer apulie lasciò tracce della sua devozione alla bellezza prima ancora che al culto cristiano.

Se Costantino fu imperatore dei due mondi, Federico II seppe edificare l’impero della pax religiosa, concedendo al popolo ebraico residente a Trani un tributo di architetture politiche, come le quattro sinagoghe dedicate al culto giudaico erette nel quartiere Giudecca (rione aperto entro le mura della città vecchia, composto da un complicato intrico di vicoli, da non confondersi con le asfissie, anche urbanisticamente esclusive, del ghetto).

Bella dall’età medievale insomma, ma buona come nessuna lo è diventata in un giro di valzer forse per effetto di quella nota come la teoria delle finestre rotte, applicata al contrario: da un indirizzo buono né è nato un altro e da questo un altro e un altro ancora, per effetto di una benefica emulazione.

Una moltiplicazione virtuosa grazie alla quale Trani è oggi la città più buona di Puglia. Ecco per merito di chi, in ordine sparso.


12. Lievito 72

È il talebano della lievitazione lenta, il samurai della pasta madre, il guerriero dell’alveolatura comme il faut. Quel numeretto sull’insegna sotto i portici al civico 10 di via Aldo Moro è un manifesto politico, la cifra di una missione. 

Nella personale cabala di Andrea Giordano, pizza chef classe 1985, 72 sta per il numero di ore in cui l’impasto viene lasciato lievitare prima di imboccare le fauci del forno a legna.

Maniacale nell’esecuzione del più piccolo gesto, meticoloso fino all’ossessione nella selezione delle materie prime, una per genere: il pomodoro (solo pugliese Paglione), una birra (la Ericius di Campobasso), un olio (la coratina di Dentamaro), una farina (solo Petra di Molino Quaglia).

Per il pane invece dà fondo alla ricerca sui grani antichi, che vale per grani futuri.

In carta niente primi secondi antipasti dolci, solo pizze, undici.

La più richiesta? 

La Parmense (base pomodoro pelato, all’uscita stracciatella andriese e prosciutto crudo 24 mesi affettato al momento con una Berkel lucente). Margherita, Quattro formaggi, Diavola, sempre in carta. Le altre si alternano in base alle stagioni.

Un’avvertenza in calce al menu: “il coperto non si paga, ma l’amaro non si offre”.


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Sonia Gioia
fonte: https://www.lacucinaitaliana.it/storie/luoghi/trani-ristoranti/

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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