si riuniscono durante il convegno «Bread for change» per raccontare come il mondo del pane stia cambiando e come il pane possa, a sua volta, cambiare il mondo.
 
Il collettivo è animato dai cuori e dalle menti illuminate di Pasquale Polito (Forno Brisa), Matteo Piffer (Panificio Moderno) e Davide Longoni (Panificio Davide Longoni) è formato da Adriano Del Mastro, Gabriele Bonci, Aurora Zancanaro, Daniele Ciabattoni, Eugenio Pol e dal torinese Andrea Perino. Sono loro che in questi giorni stanno donando mille chili di «pane del miscuglio» ai Laboratori del Gusto, alla mensa di Terra Madre, all’osteria dell’Alleanza e in numerosi altri punti ristorativi del Lingotto.
 
Il messaggio
  
Si tratta di un dono che ha un messaggio ben preciso: quello del pane simbolo della loro rivoluzione. Il Bread of change nasce da una farina ottenuta con la tecnica, appunto, del miscuglio. «Farina che in questo caso arriva dai nostri campi abruzzesi» spiega Pasquale Polito, che in quel di Bologna da tre anni è ormai un’istituzione. Una laurea in geografia e un amore smisurato per la panificazione l’hanno portato a riunirsi insieme a un gruppo di amici per aprire il panificio Brisa in cui, oggi, lavorano ventuno persone.  

Ma che cos’è il miscuglio evolutivo? «Si tratta di una pratica agronomica - spiega - portata in Italia da Salvatore Ceccarelli, pioniere sui miscugli evolutivi in Siria, che sarà con noi oggi. Ceccarelli ha portato nel nostro Paese da Aleppo, dopo aver lavorato con gli agricoltori locali, un’immensa varietà di semi che ha incrociato e seminato in Toscana e in Sicilia e poi diffuso in tutto lo Stivale».  
 
La tecnica  

Prosegue Polito: «Seminare a miscuglio significa posare nello stesso terreno tanti semi diversi e lasciare che crescano senza l’intervento dell’uomo». La selezione, dunque, sarà esclusivamente nelle mani della natura. «Delle tante varietà, a prevalere saranno quelle più adatte allo specifico microclima. Quello che avviene è dunque un naturale processo di adattamento: le varietà di cereali più resistenti in quelle specifiche condizioni saranno quelle che si radicheranno al territorio diventandone naturale espressione». 

Il processo, poi, sarà ripetuto di stagione in stagione. «L’anno successivo il campo sarà riseminato a partire dal raccolto dell’anno precedente: così, nell’arco di un decennio, si otterrà una selezione naturale di una serie di grani estremamente radicati. Se terreni diversi daranno vita a grani espressione di uno specifico terroir - conclude Polito - allora anche il pane lo sarà: questo è il principio della tecnica di coltivazione del miscuglio, diffusa in Italia dalla rete dei semi rurali (Rsr) e dal professor Ceccarelli».  
 
La filiera

Un pane agricolo e identitario, ottenuto da una farina con un parametro tecnologico plastico meno forte di quelle consigliate per panificazioni e grandi lievitati (la cosiddetta W), ma un pane che risponde alla sostenibilità agricola, economica, sociale e nutrizionale.

«Un pane naturale che racconta di una filiera stretta tra il contadino e il trasformatore - sostiene Matteo Piffer - Un pane in grado di far condividere gli stessi approcci qualitativi dal campo alla tavola, di consentire una ricerca sui singoli terreni e di essere autentica espressione di un terroir». 


Sarah Scaparone
fonte: https://www.lastampa.it/2018/09/22/societa/un-miscuglio-di-semi-espressione-del-territorio-cos-il-pane-potr-cambiare-il-mondo-APQxwfh67Y8GCEYDZR70lI/pagina.html 

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