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RASSEGNA STAMPA WEB
come e dove Petra arriva in tavola
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Colombo 1933: pane e solidarietà


Con i loro panifici hanno conquistato la terra di mezzo tra Varese e Milano. Senza mai dimenticare etica, sostenibilità e umanità. A tu per tu con Matteo e Giovanni Colombo, alla guida di un regno fragrante

Stelle, abeti, omini di pan di zenzero

«Di biscotti decorati a mano con la ghiaccia reale in questo periodo ne produciamo all’incirca diecimila pezzi. Anche da appendere all’albero e per far da segnaposto», racconta Matteo Colombo. Alla guida - insieme al fratello Giovanni - di un regno di panifici artigianali e familiari: Colombo 1933. Anno in cui nonno Giovanni aprì la prima insegna in quel di Busto Arsizio. Per poi consegnarla al figlio Ermenegildo, verso la fine dei Sixties.

«Con l’inizio del nuovo millennio invece siamo entrati noi. Piano piano. In punta di piedi”, spiega Matteo. Alle spalle? Studi scientifici, corsi economici e formativi e una naturale propensione per la gestione del personale. «Nella mia azienda tengo moltissimo al lato umano», precisa lui. Che sta pure al timone della produzione. Mentre il fratello maggiore si occupa del controllo degli acquisti.

Due visionari i Colombo bros. Che fanno parte del prestigioso circuito dei Petra Selected Partners di Molino Quaglia e che tengono le redini di una serie di negozi nella terra di mezzo fra Milano e Varese: sei nella city bustocca (dove ha sede anche il grande laboratorio centrale di duemila metri quadrati, in via Sacro Monte); altri a Olgiate Olona, Castellanza, Marnate e Dairago; nonché due a Gallarate. «Anzi, tre. Sì, ne stiamo aprendo un terzo. E in progetto c’è anche Legnano, con un’altra tripletta di punti vendita», svela felice Colombo junior. Che in questa fertile chiusura d’annata 2019 tira le somme e parla al futuro.

Intanto? Sforna panettoni e veneziane glassate alle mandorle. Non trascurando  i panettoni gastronomici. Sia in versione classica (ma non poi così tanto, visto il vivace tocco creativo) sia in coniugazione regionale: cinque piani (ognuno formato da sei tramezzini) per cinque ricette iconiche di altrettanti territori. Un vero ascensore gustativo che attraversa la Penisola: dalla Lombardia (salame di Varzi e crescenza ai peperoni verdi) al Trentino (speck di 24 mesi, senape dolce e battuto di cetriolini); dall’Emilia Romagna (culatello di Zibello, crema di stracchino e pesto alla rucola) alla Sicilia (tartare di gamberi rossi di Mazara del Vallo, crema allo zafferano, finocchietto selvatico e pinoli), passando per la Campania (friarielli spadellati, alici di Cetara e colatura). Geniale.
«E il prossimo anno lo vogliamo proporre anche dolce. Colmando ogni strato con creme, confetture o frutta secca tipiche delle differenti zone d’Italia».

E poi? Ci sono le rustiche torte di mele, con farina di mais e Petra 1; il "Figasciò" con uva americana e tutta la collection di focacce dolci ai fichi, alle pesche, alle pere, ai mirtilli. A seconda della stagione. E ancora, le ciabatte, le pagnotte, i pani in cassetta con farina di segale o grano saraceno, le pizze in pala alla romana e le pizze in teglia.

«Ne facciamo 250 teglie al giorno. Per un totale di duemila porzioni. Cuocendo sempre tutto al momento, in loco. Nei diversi locali», ricorda Matteo. Che non trascura le brioche all’italiana, anche in foggia vegana. «Ma presto introdurremo il croissant francese».

Sì, pensa costantemente al futuro Matteo. E pensa pure al prossimo.

«Io non riesco a essere pienamente soddisfatto se il tornaconto è solo mio. Cerco sempre di chiedermi se quello che faccio possa essere utile alla collettività». Da qui la collaborazione con diverse associazioni di volontariato - come City Angels, Banco Alimentare e VoCi (Volontari Cittadini) - per il recupero e la ridistribuzione del cibo invenduto.

Non solo. Il riciclo vale anche per tutti quei macchinari tecnologicamente superati, ma che invece sono considerati all’avanguardia in Paesi come l’Africa.
«In Mozambico abbiamo contribuito alla realizzazione di un laboratorio artigianale. E prossimamente partirò per la Guinea-Bissau», annuncia il volitivo Matteo. Che, ragionando in un’ottica di sostenibilità, ha già in mente l’installazione di pannelli solari, per una totale autonomia energetica, e una flotta di camion elettrici, a emissioni zero.

Etica ed ecologia, dunque. Perché i sacchetti del pane sono in carta alimentare riciclata; l’inchiostro è naturale e le shopper sono in materiale biodegradabile.
 «E con l’anno che verrà rinnoveremo tutto il packaging. Amiamo le novità. Cambiare grafiche, colori e stampe».


Cristina Viggè
fonte: https://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=colombo-1933-pane-e-solidariet%C3%A0

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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