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come e dove Petra arriva in tavola
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Mama: se il pane è la matrice (anche della pizza)


Quattro lettere. Snelle e scattanti. Messe in evidenza da una linea che evoca, in maniera stilizzata, una pala...

«Quella che usava nostro padre per infornare il pane. Ora è appesa a una parete del locale, a ricordare che tutto è una logica conseguenza del pane», spiega Davide Quaglia, descrivendo il logo del Mama.

L’insegna che guida a Lendinara (in provincia di Rovigo) insieme ai fratelli Sandro, Massimo e Maura. Uniti anche al timone del panificio di Sant’Urbano, nel Padovano: Pane Quaglia. Aperto da papà Pietro e mamma Annarosa all’alba degli anni Sessanta. E ancor oggi fonte, sorgente, fucina e matrice di tutta la produzione. Basti pensare che persino il Mama - in origine Mama Mia - nasce come panificio con bar annesso. Avviato sempre da Pietro.

«Ma a un certo punto lo abbiamo preso in mano noi fratelli. Per spostarlo, nel 2006, nella sede attuale, concentrandoci molto sull’aperitivo. Poi, nel tempo, la mia testa è cambiata. E ho cominciato a immaginare un mood diverso. Con una cucina e una sala ben definite. Il tutto completato da un’area vendita, attiva dal mattino sino alla chiusura. Così, il giugno scorso, abbiamo fatto i lavori, trasformandolo in un negozio in cui si può mangiare dentro», continua Davide. Dentro e “fuori”. Nel senso che attualmente il canale dell’asporto è stato ampliato.

Il che significa brioche, croissant e pain au chocolat. Ma anche pani e pagnotte - le cosiddette Ciópone -, cracker e grissini, panbiscotto e Babobini: gli iconici grissini stirati a mano che mutuano il nome dal Balobino, l’altra insegna di famiglia (momentaneamente in stand-by). Non certo tradendo la pizza.

«Tutti gli impasti e le precotture vengono fatti da me e Massimo nel laboratorio di Sant’Urbano, annesso al panificio. Partendo sempre dal lievito madre e dalle farine Petra di Molino Quaglia. In primis, Petra 1Petra 5 Petra 9. Il giorno prima, creiamo una biga e un gel. Che, il giorno successivo, andiamo ad aggiungere a un terzo preimpasto, messo a punto con la tecnica dell’autolisi. Poi, in un forno statico, portiamo tutte le basi a un 70% di cottura. Che viene completata live nel forno del Mama, al momento dell’ordine. Oppure il cliente può finire di cuocere la pizza nel forno di casa. Meglio se ventilato. A 200°C per cinque minuti», precisa. Descrivendo un iter produttivo performante.

Ecco allora la pizza in pala: ready to eat o ready to cook, anche nella versione con farro monococco integrale bio, segale e semi tostati di lino e girasole. E se la pizza tonda è pronta da mettere in tavola, il kit da degustazione prevede una maggiore interazione col commensale. Dal momento che sia la base sia gli ingredienti vengono imbustati e messi sottovuoto. Con tanto di etichette e istruzioni per l’uso.

Fra i must? L’impasto a vapore (in padellino). Frutto di un lungo studio da parte dei bros Massimo e Davide. Prevede infatti un’accurata cottura: venti minuti a 130°C, con un’umidità del 100%. E cinque minuti a una temperatura più alta e a un’umidità più bassa. Affinché la struttura risulti soffice, ma si formi in superficie una crosticina crispy. Al top (anzi, a corredo): salsa di pomodoro, burrata e olio al basilico. Non dimenticando i burger. Preziosi di un buon bun, realizzato con le farine Petra 1 e Petra 9. «Per un pane integrale e digeribile», puntualizza Davide.

Alle farciture? L’appassionato chef Luca Crivellenti: alle spalle, una formazione da Simone Padoan; e un presente che lo vede alla regia di tutta la parte culinaria del Mama. Inclusa la produzione di pasta fresca: dai tortellini ai bigoli al torchio, dalle tagliatelle alle lasagne.


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Cristina Viggè
Fonte: https://www.identitagolose.it/ermes/newsletter/?id=396

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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