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RASSEGNA STAMPA WEB
come e dove Petra arriva in tavola
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Una farina sostenibile dal campo alla tavola


Una chiacchierata con Giuseppe Li Rosi, il presidente dell’Associazione Simenza e l’agricoltore siciliano che ha reso possibile la nascita di una farina sostenibile e rivoluzionaria: l’Evolutiva

Abbiamo deciso di intervistarlo dopo averlo sentito nominare da tanti professionisti dell’arte bianca durante le nostre chiacchierate sulla pizza contemporanea e sulle basi della pasticceria.

Tutti coloro che usano con entusiasmo la farina Petra Evolutiva, conoscono il contadino che coltiva quel grano e ne parlano come di un amico: Giuseppe Li Rosi agricoltore siciliano per famiglia e vocazione, strenuo difensore dell’agrobiodiversità, tanto da essersi meritato il titolo di contadino custode, che nel 2016 ha fondato a Raddusa l’Associazione Simenza - Cumpagnìa Siciliana Sementi Contadine.

Non è stato facile raggiungerlo in una settimana di fine novembre, tra semine e campi allagati, ma alla fine ci ha dedicato il tempo necessario per raccontarci la sua opera.

«L’associazione che ho fondato, insieme ad altri agricoltori ed allevatori, si chiama Simenza e raccoglie circa 120 operatori della filiera agroalimentare tra agricoltori, allevatori, ma anche trasformatori che vogliono difendere l’agrobiodiversità della Sicilia. Quindi persone che si impegnano a custodire e coltivare semi di varietà siciliane come i grani antichi (Perciasacchi, Timilìa, Russello, Maiorca...), poi legumi, frutta, olive, ma anche ad allevare specie animali autoctone, come la Capra Girgentana o la vacca Cinisara. 

Sono spesso piccole aziende agricole eroiche, che coltivano in regime biologico varietà che rischiano di scomparire. L’obiettivo è arrivare a fare massa critica e trovare spazio per queste produzioni sul mercato di una economia locale, ma anche nazionale ed estera, non vincolata ai prezzi stabiliti a priori da multinazionali e grande distribuzione, che sono insostenibili per i piccoli agricoltori».


Tra i progetti a favore della biodiversità che hanno avuto successo in Sicilia, grazie al vostro lavoro, c’è stata la coltivazione della popolazione miscuglio di grano per la farina Evolutiva macinata da Petra, che ha spinto diversi pizzaioli e pasticcieri ad “adottare” un campo in Sicilia per assicurarsi il raccolto della Popolazione Solibam Tenero Li Rosi Evolutiva. Una storia interessante anche se non parliamo di grani locali

«Sì, è una storia che racconto sempre volentieri. Il professor Salvatore Ceccarelli, che è stato per anni genetista alla facoltà di agraria di Perugia, ha compiuto con la moglie, Stefania Grando, una serie di ricerche in Siria, sull’evoluzione in campo di miscugli di grano seminati insieme e ha messo a punto una popolazione che include 2.000 varietà e 350 incroci di semi di grano tenero diversi tutti originari del Mediterraneo. 

Nel 2012, quando ormai la Siria era un paese in guerra, dove non era più possibile fare ricerca, Ceccarelli portò in Italia questo miscuglio per avviare la coltura sperimentale in Sicilia e in Toscana. Dopo 4 anni, uno dei nostri agricoltori di Simenza ricevette quindi 2 quintali di questa popolazione “evolutiva” da seminare in campo. La resa fu straordinaria e in due anni di semina si ritrovò con un raccolto di 700 quintali di questo frumento ancora sconosciuto al mercato, che non sapeva come vendere. 

Io conoscevo Chiara Quaglia e l’apertura innovativa della sua azienda, quindi per aiutarlo decisi di proporre al Molino Quaglia questo nuovo grano “Evolutivo”. 

A Vighizzolo d’Este fecero un test molitorio su 1.000 kg e andò talmente bene che, non solo decisero di comprare a buon prezzo tutta la partita del mio amico, ma anche di promuovere la coltivazione di questo miscuglio, lanciando la farina Evolutiva tra i loro partner. Io stesso quell’anno fui invitato a Pizza-Up a presentarla ai pizzaioli».


Quali sono i vantaggi di coltivare e macinare insieme un miscuglio di grani differenti, invece di un’unica varietà?

«I vantaggi sono numerosi per tutti. Cominciamo da quelli per l’ambiente e per l’agricoltore. Ovviamente un campo seminato con un miscuglio di semi diversi ha una ricchezza in termini di bio-diversità che non può avere un campo monovarietale. Il miscuglio di semi comprende patrimoni genetici diversi, che una volta in campo si arricchiscono ulteriormente con gli incroci tra piante (anche se in piccola parte perché il grano tende ad autofecondarsi, ma gli incroci non sono impossibili). 

Su questa varietà di patrimoni genetici, che convivono nello stesso spazio, avviene una selezione naturale operata dalle condizioni climatiche e dal terreno. Il miscuglio di piante tende ad adattarsi e diventa nel tempo una popolazione di organismi dove non c’è competizione intraspecifica, ma una complementarietà tra piante diverse della stessa specie che trovano, grazie alle peculiarità diverse della pianta vicina, migliori possibilità di sopravvivenza. 

Per esempio che i grani a stelo alto proteggono il campo dalla colonizzazione delle malerbe, mentre quelli a stelo basso impediscono l’allettamento delle spighe durante i temporali. Quando si creano questi equilibri in campo non si parla più di miscuglio, ma di popolazione, una bella parola che ci parla di relazioni tra le piante e ci suggerisce la possibilità che nasca una convivenza pacifica e vantaggiosa tra individui diversi che si trovano, più o meno casualmente, a convivere nello stesso luogo.

Ma al di là della metafora sociale, questo equilibrio ha enormi vantaggi per l’ambiente e per l’agricoltore che non deve continuamente bagnare (questo non lo direi perché il grano non viene irrigato), concimare e diserbare il suo campo per compensare i punti deboli della varietà di grano che ha seminato. Ma si trova di fronte una popolazione vegetale capace di “evolversi” appunto, adattarsi da sola in poco tempo, grazie al patrimonio di informazioni genetiche che possiede, alle condizioni pedoclimatiche che possono mutare».


I vantaggi per trasformatore e consumatore?

«Petra ha introdotto tra i suoi partner, pizzaioli e pasticcieri, l’idea della farina d’annata, l’idea cioè di lavorare ogni anno con una farina che cambia a seconda dell’andamento climatico. Stiamo parlando di una farina che non è standardizzata, ma che ha una ricchezza aromatica e nutrizionale senza pari e che darà un sapore e un profumo unico ai prodotti di un artigiano oltre al fatto che, pur non essendo una farina studiata per la lievitazione, dà un’ottima resa in lievitazione e crea un’ottima maglia glutinica per gli impasti. 

Il consumatore ha vantaggi non solo in termini di sapore, ma anche e soprattutto in ricchezza nutrizionale e salute: una farina così variegata contiene infatti tanti tipi diversi di molecole di glutine, nessuna delle quali è contenuta in quantità così rilevante da creare al nostro intestino sensibilizzazioni e intolleranze. Stiamo parlando quindi di una farina che non crea intolleranze».


Grazie a Giuseppe Li Rosi per averci raccontato questa storia di una farina buona e “sostenibile” un po’ per tutti.


Silvia Benzi
fonte:
https://www.ilgolosario.it/it/una-farina-sostenibile-dal-campo-alla-tavola

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

PETRA srl - Vighizzolo d'Este (PD) IT03968430284