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Gianluca Fusto: pasticceria è cultura


Le contaminazioni, le geometrie, gli additivi, la conoscenza. L'importante contributo del milanese al nostro dibattito

"Vorrei innanzitutto congratularmi con Identità Golose: ho ancora i brividi se penso che quest’anno avete dedicato due momenti alla pasticceria. Fantastico. Penso che, da sempre, pasticceria e cucina siano una coppia di fatto: ognuna ha la sua identità ben definita - d’ingredienti, tecniche, tempi - ma insieme crescono come coppia.

LA CONTAMINAZIONE.

Storicamente, è sempre stata una questione di contaminazioni. Nel Cinquecento, Caterina de’ Medici traghettò da Firenze a Parigi tante idee, piatti e tecniche che avrebbero contribuito a definire l’identità gastronomica francese.

Sappiamo bene, poi, che il Cafè Le Procope, il più antico di tutta la Francia - e forse anche d’Europa, e quindi del mondo - fu messo in piedi nel 1686 a Parigi da Francesco Procopio dei Coltelli, immigrato da Acitrezza, in Sicilia, secondo molti l’inventore del gelato.

Procopio tornò poi nuovamente in Italia, consentendo alla pasticceria di prendere nuove direzioni.

La contaminazione, dunque, è alla base di ogni conoscenza e di ogni cultura, le basi della vita.

E questo vale anche per noi. La prima volta che assaggiai la pizza al vapore degli Alajmo al Calandrino mi emozionai: una leggerezza incredibile, geniale. È anche vero che in Cina servono le brioche al vapore a colazione, con diversi impasti e ripieni. Non è questa contaminazione? Non lo sono forse le tecniche d’essicamento, simili in Asia o in Sud Africa? O il ceviche?

Contaminazione è un concetto cui tengo molto: non esistono limiti tra la pasticceria francese e quella italiana. Anzi, dovremmo vivere le pasticcerie come luoghi di scambio di tecnica e conoscenza, estrapolarne il meglio e farlo nostro, cercando di definire, ognuno di noi, uno stile personale.

Apprendere le tecniche migliori, per ottenere un prodotto sempre migliore: è quello che mi sforzo di fare ogni giorno.

GEOMETRIA E BONTÀ.

Alajmo sostiene che la pasticceria contemporanea spesso si avviterebbe su geometrie fin troppo precise, a scapito del gusto.

È vero che, negli ultimi anni, ci si sta spingendo troppo oltre, con preparazioni con eccessi di glassa, colore, decorazioni. È altrettanto vero, però, che c’è pure una corrente di professionisti che dice l’opposto: occorre ritornare ai dolci della nonna o della mamma, imperfetti e golosi.

Personalmente penso che la perfezione visiva sia fondamentale in un dessert. È sinonimo di professionalità, cura del dettaglio e anche di rispetto del cliente perché, in Italia, una torta si condivide sempre nei momenti di festa. È un momento importante, che non possiamo svilire con prodotti brutti o sformati.

È vero, lo strudel di mia mamma è il più buono e goloso che ci sia ma è altrettanto vero che noi siamo professionisti: abbiamo il dovere di preparare torte e dolci senza difetti, alla stessa maniera di quando pretendiamo da uno chef che la pasta sia cotta al dente e salata il giusto.

Perché dovremmo proporre frolle cotte in modo imperfetto? Perché dovremmo rinunciare a pensare al bilanciamento perfetto tra aromi e struttura?

GLI INGREDIENTI.

Penso che sia ora che il pasticcere torni a scegliere gli ingredienti secondo stagione: non ha senso servire i frutti di bosco nei mesi autunnali e invernali, semplicemente perché non sono buoni. Ancora più importante è ricercare materie prime di qualità, informarsi a fondo e farlo sempre senza pregiudizi.

A proposito di additivi e addensanti, prendiamo l’agar agar, demonizzato da tanti: è un gelificante naturale, ottenuto dalle alghe rosse.

Non tutti sanno che, a livello industriale, è estratto attraverso un processo in cui si utilizza acido solforico e poi è sbiancato e tinto.

Eppure certa pasticceria di tradizione giapponese utilizza moltissimo l’agar-agar già dal Seicento. Voglio dire che, se impiegato con buon senso, conoscenza, attenzione e cultura, nessun ingrediente è nocivo.

In linea generale, non bisogna tenere fuori dalla porta prodotti che possano generare nuove strutture, additivi leggeri e gradevoli al palato.

Anche perché la pasticceria procede di pari passo con gli avanzamenti di chimica e fisica: senza sapere che un albume d’uovo comincia a coagulare a 62°C e diventa di struttura solida/morbida a 65°C, non saremmo mai riusciti ad assaggiare la panna cotta, il classico budino all’italiana nato in Piemonte agli inizi del Novecento.

Ma se andiamo a cercare bene, scopriamo che in Danimarca preparavano già qualcosa di simile 700 anni prima, senza ricorrere a colla di pesce o gelatina animale…

CONTEMPORANEITÀ.

Sono d’accordo con Corrado Assenza: sta nascendo una pasticceria italiana contemporanea ed è un bene per tutti.

Può nascere un vero movimento ma solo se noi professionisti siamo attenti a intercettare le esigenze che cambiano e a soddisfarle: rispetto a 10 anni fa, per esempio, tendiamo a mangiare molti meno grassi e zuccheri, cerchiamo profili aromatici “veri” e non dolci.

Per questo motivo dovremmo utilizzare più zuccheri di canna, lavati ad acqua naturalmente e non trattati. Dovremmo concentrarci a pensare a linee veritiere e adeguate alle persone meno fortunate come gli affetti da diabete o intolleranze. Senza dimenticare mai che il fine ultimo è quello di emozionare il cliente.


Gianluca Fusto (testo raccolto da Gabriele Zanatta)
fonte: http://www.identitagolose.it/sito/it/97/19280/dolcezze/gianluca-fusto-pasticceria-e-cultura.html?p=0

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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