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RASSEGNA STAMPA WEB
come e dove Petra arriva in tavola
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Pizza al piatto… tipico (terza parte)


Quando la pizza italiana contemporanea sposa la cultura gastronomica tradizionale e territoriale...

La pizza è un piatto. Talvolta è servita al piatto. E talaltra incarna persino un piatto tipico.

Sì, uno di quelli radicati nella storia e nella memoria. Ambasciatore di un territorio e del suo genius loci. Voilà una gustosa rassegna che inanella italiani cult. Nel segno di tradizioni da mangiare con le mani. Dal nord al sud. Grazie anche al genio creativo di alcuni Petra Selected Partners, esponenti del prestigioso circuito voluto da Molino Quaglia.


L’amatriciana sale La Scaletta e prende una Gran’Aria

A un passo dal confine con l’Abruzzo era più che doveroso dedicare una pizza alla leggendaria amatriciana. Al punto da tenerla fissa in carta, insieme ad altre referenze gourmet. Così, Mirko Petracci, patron de La Scaletta di Ascoli Piceno, la buona “Amatriciana” la alza a vessillo. E con lei la salsa di pomodoro San Marzano biologico, il guanciale di maiale (allevato allo stato semi brado), la cipolla bianca, il pecorino romano e una generosa macinata di pepe fresco. Una pizza che dà fiato alla tradizione, respirando una Gran’Aria: l’impasto a marchio registrato di Mirko. Che parte da tre pre-fermenti, virtuosi di tre diverse farine griffate Petra: Unica per il rinfresco del lievito madre liquido (licoli); Petra 1 per la biga e l’integrale Petra 9 per il poolish. A cui seguono 36-48 ore di attesa e pazienza. Prima dell’entrata in forno. Dal quale esce una pizza evanescente e crunchy.

E poi? C’è un’agreste ricetta picena, che recita “Ncip Nciap”, emulando onomatopeicamente il dolce suono che fa il coniglio rosolando in padella con olio, aglio, rosmarino e vino bianco. Voilà la versione pizza: filetti di coniglio cucinati secondo la maniera marchigiana, crema di cime di rapa, crema di provola affumicata e olive taggiasche.


Broccoli e arzilla all’Osteria (di Birra del Borgo)

Roma caput mundi. Ma ci sono anche i Castelli Romani. Da cui lui proviene. Dove lui affonda le sue radici. E pure i suoi ricordi.

“Ho voluto rileggere un piatto al quale sono molto legato. La minestra di broccoli e arzilla. La razza, come viene chiamata da noi”, spiega Luca Pezzetta. Millesimo 1989, nato a Marino, cresciuto a Grottaferrata. Con nonno Goffredo, che lì aveva un ristorante-pizzeria. Ma anche papà Giustino a un certo punto ci mette lo zampino. Tenendoselo per un po’ accanto nell’osteria Il Bersagliere, a Colonna. Tombola. Perché è lì che Luca conosce Gabriele Bonci. E fare uno stage dal pizza hero è un attimo.

Poi? Esperienza e talento lo conducono all’Osteria di Birra del Borgo. Dove Luca prende la minestra, toglie la pasta e ci mette la pizza. Trasformando un piatto da cucchiaio a una vivanda da agguantar con le mani. Una pizza virtuosa di broccoli romaneschi in crema (complice il fumetto di pesce) e ripassati in padella; pomodoro confit; scaglie di pecorino romano; e razza cotta in forno, tuffata in un brodo di verdure.

Un inchino alla memoria, alla famiglia e alla cucina capitolina. Che Luca fa anche all’hub Identità Golose Milano, sabato 7 marzo, in occasione di una cena polifonica con i colleghi Simone Padoan, Renato Bosco e Franco Pepe. Intanto, nella carta dell'Osteria, spiccano anche i carciofi alla giudia. Fieri di finir nell’antifocaccia, una versione Pezzetta style della pizza in padellino. Che accoglie i carciofi fritti, il gambo di carciofo in crema e i carciofi alla romana.


Salsiccia e friarielli secondo I Masanielli

Rigorosamente a punta di coltello. Così vuole la tradizione che sia tagliata la salsiccia: in maniera grossolana, e non finemente macinata. E Francesco Martucci? Non tradisce il diktat e trasferisce sia la salsiccia che i friarielli dal piatto all’impasto. Cambiando un po’ le carte. E pure il nome: “Mani di Velluto”. La salsiccia è di autoctono suino grigio ardesia; i friarielli divengono una crema, cui concorre l’acqua di ricotta di bufala; la mozzarella è rigorosamente di bufala campana; e il Calcagno è a crosta liscia, ottenuto dal latte di pecora.

Ma mister Martucci, nei suoi Masanielli vicinissimi alla Reggia di Caserta, non trascura gli ziti alla genovese. Come potrebbe? Allora li ritrae a modo suo nella “Genovese”, virtuosa dell’immancabile cipolla, del fiordilatte e del conciato romano. E il ragù? Francesco lo fa pippiare per dodici ore, utilizzando il pomodoro lampadina: un tipo rosso e bio, dalla forma allungata, che cresce sulla collina di Quisisana, a Castellammare di Stabia, nell’agricola maison Dama, di Marianna D’Auria. Complici guanciale di suino grigio ardesia e Calcagno. Condimento valorizzato da una base dalla triplice cottura (e dalla consistenza unica): a vapore, a 100°C; fritta, a 180°C; e in forno a legna, a 380-400°C.

Ma non mancano la “Parmigggiana” (sì, con tre “g”), sintesi di San Marzano, melanzane e parmigiano reggiano di vacca bianca modenese, un Presidio Slow Food. E neppure la “Uovo e Tartufo”, un grande must dell’alta cucina. Che abbandona il padellino per convertirsi all'impasto: crema all’uovo di gallina livornese, guanciale croccante di maiale tranquillo (quello by Bettella), fiordilatte, tartufo invernale del Matese e olio extravergine al tartufo.  


Se la pastellessa è Doro

Certo, non è un piatto di tutti i giorni. Ma di un dì di festa ben preciso. Quello di Sant’Antuono, il 17 gennaio. Sant’Antonio Abate, per capirci. Che a Macerata Campania, nel Casertano, si celebra tutti i santissimi anni con un rituale ancestrale animato da carri e percussioni di tini, falci e botti. Le cosiddette Battuglie di Pastellessa, termine usato per indicare sia il rumore-fragore generato dalla sfilata sia la iper tipica pasta con le castagne lesse. Consumata nella vigorosa giornata. Pastellessa che Luca Doro, titolare dalla pizzeria Doro Gourmet, trasforma nella golosa “Pizzellessa”: un impasto fragrante - Petra addicted - colmato da castagne lesse, mozzarella di bufala, guanciale di suino nero casertano, scaglie di pecorino di laticauda (razza ovina dalla coda grassa e larga) e perle di peperoncino crusco. A dar la nuance piccante.


Archestrato di Gela: come un tortino di alici

Poeta siceliota della colonia greca di Gela, Archestrato visse nella seconda metà del IV secolo a.C. Un uomo colto, amante della buona tavola. Un precursore di Epicuro e di Apicio. Un gourmand ante litteram.

“Mio padre Edoardo, imprenditore, amante della cultura greca e con un trascorso da docente all’Accademia di Belle Arti, disse che se mai un giorno avessimo avuto un’attività ristorativa l’avremmo dedicata al letterato, autore del poema Gastronomia”, precisa Pierangelo Chifari, pizza chef dell’insegna palermitana Archestrato di Gela. Dove tutte le pizze sono intitolate a un quartiere o a una contrada della cittadina posizionata in terra nissena. Come la “Sabuci”, che par un raggiante tortino di alici alla siciliana da assaporare a spicchi. Condensando l’energia mediterranea in una pizza preziosa di scarola riccia passata in padella, tuma di Castelvetrano, alici, olive di Gaeta, pomodorini datterini e uva passa di zibibbo di Pantelleria. L’isola dell’isola.


Cristina Viggè
fonte: https://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=pizza-al-piatto-tipico

Leggi anche:
Pizza al piatto… tipico (prima parte)
Pizza al piatto… tipico (seconda parte)

- Foto La Scaletta by Webeing.net
- Foto Doro Gourmet by Enrica Guariento


Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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