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A Lavica Giuseppe Li Rosi, il custode dei grani antichi siciliani che con Simenza promuove la retro-innovazione e la rivoluzione dell’agricoltura isolana


Custode dei grani antichi siciliani. È ormai questo, a buon diritto, il titolo di cui può fregiarsi Giuseppe Li Rosi, imprenditore-contadino di Raddusa (in provincia di Catania) nonché presidente dell’associazione culturale Simenza – Cumpagnìa siciliana sementi contadine...

A lui, infatti, si fa riferimento quando si parla di custodia, tutela e valorizzazione dei grani antichi siciliani oltre che di retro-innovazione nella cerealicoltura.

Sì, perché Giuseppe Li Rosi che sarà a Lavica proprio per diffondere la conoscenza del patrimonio cerealicolo siciliano, è davvero il simbolo della rivoluzione che tanti agricoltori e cerealicoltori siciliani hanno intrapreso in questi anni.

Ma andiamo con ordine, perché, la storia di Giuseppe Li Rosi, vale la pena di essere raccontata con lentezza. La stessa di cui ha deciso di riappropriarsi quando, a 30 anni – oggi ne ha 57 – con una laurea in Lingue e letterature straniere in tasca, ha deciso di portare il suo bagaglio culturale umanistico nell’azienda agricola di famiglia, Terre frumentarie. Una storia, la sua, che si può anche raccontare prendendo come riferimento tre momenti fondamentali che si stagliano come pietre miliari in questo percorso.

La prima è nel 1999 quando Giuseppe comincia a introdurre in azienda i primi grani antichi, per capire di cosa avessero bisogno e come si comportavano.

«Ho subito puntato sul recupero dei grani che erano stati perduti e messi da parte perché c’erano frumenti più produttivi e si preferiva puntare a quantità piuttosto che qualità. Poi è stato davvero fondamentale riuscire a ufficializzare la presenza della biodiversità cerealicola siciliana con l’istituzione del registro delle varietà da conservazione».

In Sicilia, infatti, ci sono 52 varietà autoctone, che costituiscono il patrimonio più importante d’Italia nonché uno dei più importanti del Mediterraneo. E Li Rosi, che è stato anche commissario della stazione sperimentale di granicoltura di Caltagirone (centro di ricerca dove sono conservati 49 ecotipi di grani locali) se ne è fatto custode e promotore anche attraverso la distribuzione di sementi e di prodotti lavorati e derivati.

«Vogliamo far riguadagnare alla terra e all’agricoltura la loro dignità e il loro posto primario». E proprio da questo profondo desiderio di difendere i grani antichi e la biodiversità, è nata l’idea di fondare, nel 2016, l’associazione culturale Simenza. Altra pietra miliare in questo percorso di promozione e valorizzazione dei cereali siciliani con cui Giuseppe Li Rosi riesce a smentire l’impossibilità di stare insieme e fare rete in quest’isola tanto complessa.

«Siamo partiti in pochi – ricorda – con l’idea di difendere la biodiversità cerealicola. L’idea è stata subito sposata da altri agricoltori, allevatori, panificatori, pastai». 

Oggi, dopo 7 anni, con tanto di pandemia in mezzo, l’associazione è cresciuta ma si è anche stabilizzata tra ingressi e uscite ma basandosi sempre sul mantenimento delle diversità al suo interno.

Diversità che viene tutelata e promossa e che viene presa a modello di metodo biologico e sostenibile.

«In un campo di grano moderno, dove viene applicata la chimica, le spighe sono tutte uguali perché si tende alla standardizzazione. Noi ci ispiriamo al campo evolutivo-partecipativo, quello che, grazie allo scienziato Salvatore Ceccarelli, abbiamo sperimentato nei nostri terreni. Seminiamo e coltiviamo – conclude – miscugli di migliaia di varietà e riusciamo a introdurre anche centinaia di incroci con il risultato di una distesa di grano dove non c’è una spiga uguale all’altra: la più bassa sostiene la più alta e la più alta difende la più bassa dagli infestanti».

Oggi, infatti, nella sua Terre Frumentarie, Li Rosi coltiva e produce popolazioni di grano che saranno il futuro: una di tenero (popolazione Furat tenero Li Rosi) e due di grani duri (popolazione evoldur e popolazione Angelo in onore del padre).

«Riforniamo di semi altri agricoltori e cerchiamo di attivare filiere e collaborazioni anche con altri mulini sulla falsariga di quella avviata con Molino Quaglia, ovvero adotta un campo di grano. Un modello che funziona in cui un gruppo di produttori coltiva e produce solo per il Molino Quaglia che valorizza con un prezzo dignitoso i cereali e attesta l’intera filiera collaborativa. E ogni anno coroniamo questo accordo, che ci dà la possibilità di sperimentare una nuova economia, ovvero cambiando l’atteggiamento nei confronti della moneta circolante, un accordo tra chi lavora a vari livelli della filiera dando un valore a tutta le sue parti dalla fase di coltivazione e quella finale del panificato».

E nel percorso di produzione e di valorizzazione dei grani antichi e dell’agricoltura siciliana, la storia di Li Rosi, Terre Frumentarie e Simenza, è segnata da un’altra pietra miliare: il covid, la pandemia e lo stop forzato che ha avuto un forte impatto sulla socialità ma anche sulla presa di coscienza rispetto a tanti, tantissimi meccanismi in cui il più grande continua a mangiare il più debole. E su questa scia di consapevolezza, Li Rosi continua con la sua incessante attività di formazione e divulgazione tra addetti ai lavori e non. Una consapevolezza che negli anni è cresciuta e si è diffusa fino a coinvolgere sempre di più l’aspetto spirituale del cibo che sarà sempre di più la vera e propria cura del futuro.

E con questa consapevolezza, Li Rosi sta per partire con il suo grande progetto di un centro di formazione proprio nel suo terreno, perché lì, tra i suoi campi e i grani che custodisce, l’ispirazione è ancora più potente.


Maria Enza Giannetto
fonte: https://siciliadagustare.com/a-lavica-giuseppe-li-rosi-il-custode-dei-grani-antichi-siciliani-che-con-simenza-promuove-la-retro-innovazione-e-la-rivoluzione-dellagricoltura-isolana/

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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