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Grazia Mazzali e la purezza della Margherita


Fiore, donna e pizza, Margherita è anche una torta. Radice comune? La semplicità, la purezza e il senso familiare evocato da tal termine...

«Certo, è un dolce dell’infanzia e del ricordo. Una country cake che ha il sapore di casa. Una golosità che piace a tutti e in cui tutti facilmente si riconoscono. Per questo va fatta alla perfezione», spiega Grazia Mazzali, pastry chef e patronesse della pasticceria che porta il suo cognome (pasticceria Mazzali, via Mazzini 49-5. Tel. +39 0376 669112, pasticceriamazzali.it). A Governolo, una frazione di Roncoferraro, cittadina mantovana dove lei è nata nel 1964. Da mamma Cesira e papà Alfio. Che inaugurò l’insegna nel lontano 1957.

«Mio padre sfornava il pane di notte. Mentre durante il giorno andava a imparare a fare i dolci. Io in pasticceria ci sono cresciuta».

Ma post diploma magistrale Grazia prende un’altra strada: quella dell’insegnamento. Per poi fare marcia indietro, tornare in negozio e diventar lei stessa pasticcera. Della serie, buon sangue non mente. Complici i consigli di maestri come Achille Zoia, Rolando Morandin e Luigi Biasetto. E complice pure un’innata passione e una forte determinazione. Insomma, tutta farina del suo sacco. E dei sacchi di Molino Quaglia.

«Per realizzare la Margherita utilizzo la farina macinata a pietra Petra 5. Ma non metto il burro, bensì l’olio di oliva del Garda. E aggiungo poco zucchero», svela la Mazzali. Che dà vita a una torta soffice, vaporosa e paradisiaca. Tonda e candida, per la nevicata finale di zucchero a velo. Un dolce trasversale. Ideale a colazione, con corredo di confettura o crema pasticcera e in abbinata a un tè o a una cioccolata.

«Ma pure a merenda, con un gelato ai fichi e cannella, o con lo zabaione. Io lo preparo con Prosecco e Marsala. Così risulta più chiaro», precisa. Ricordando: «E poi, la Margherita è stata la torta nuziale dei miei genitori».

Signorile, garbata e cortese Grazia. Nomen omen. Ma caparbietà e testardaggine non tardano ad emergere.

«Sono andata per tentativi ed errori. Ma finalmente sono riuscita a mettere a segno la mia Torta di tagliatelle. Almeno, la torta che io avevo in testa da parecchio tempo. Prendendo come modello quella assaggiata vent’anni fa, da una signora di qui». 

E qui siamo in pieno Parco del Mincio. Che sfocia nel Po, a un solo chilometro di distanza. Così come vicini sono l’Emilia e il Veneto. Una terra di mezzo, crocevia di tradizioni, soggetta a continue contaminazioni. Con la pasta fresca a far la parte del leone.

«Preparo i tagliolini con uova e farina. Usando quella per frolla di Molino Quaglia. Poi li taglio a mano, alternandoli a mandorle e zucchero, nonché a lamelle di burro», racconta la Mazzali. Che, ovviamente, ha il suo segreto.

«Il burro lo tiro fine e sottile, come fosse una sfoglia. E, a strati completati, metto il tutto in una teglia forata. In questo modo resta solo il burro necessario a rendere morbida la torta. Mentre quello in eccesso se ne va», puntualizza Grazia. Che completa la torta - una volta cotta in forno ventilato a 170°C per 25 minuti - con una spruzzata di bagna all’anice stellato.

La Torta delle Rose viene invece velocemente tuffata in una bagna al rum. Un impasto figlio della biga e del lievito madre, prezioso di zucchero e di crema al burro, che viene steso e trasformato in tanti rotolini. Messi uno accanto all’altro nello stampo. Affinché fioriscano tutti insieme e diano vita a un dolce delizioso.

E il regale Anello di Monaco? C’è, eccome. Da settembre a gennaio. Creato con la farina Panettone. Però attenzione. Panettone non è. «E non somiglia neppure al pandoro. Si tratta piuttosto di un lievitato sfogliato, prezioso di mandorle e nocciole», racconta Grazia. Che propone anche la sbrisolona, la torta greca e la torta Elvezia. Retaggio mitteleuropeo di fine settecento. Quando a Mantova giunsero i Putscher, pasticceri svizzeri originari del cantone dei Grigioni.

E ancora, brioche all’italiana, sfogliatine alle mele, kipferl con la marmellata e fette biscottate. Perfette per sposare anche ingredienti salati. Così come salata è la Pepita del Po. Traduzione: un lievitato al tartufo. Quello che cresce lungo le golene del Grande Fiume.

«Lo preparo anche in vasocottura, da 200 grammi. Si conserva fino a tre mesi e lo si può accompagnare con lardo, salmone e formaggi di pecora o capra», spiega la pasticcera. Che talvolta rimette in campo i cavalli di battaglia di papà Alfio.

«L’idea m’è venuta nel 2017, per celebrare i sessant’anni di attività. Recuperare e riproporre, una domenica al mese, una vecchia ricetta. Ho iniziato dai bomboloni. Bene. Per un anno ho fritto bomboloni. Tutti li volevano. Tutti li chiedevano». 

Grazia si è arresa e talvolta li fa ancora. Live, sotto il portico della pasticceria: ripieni di mousse alla ricotta di pecora e panna, di zabaione, di confettura di albicocche, di gianduia e di crema pasticcera. Con la quale farcisce le peschine.

«Sì, non metto la crema al burro. E poi le faccio più piccine. Quelli di papà pesavano un etto. Ma una volta avevano fame e i dolci si mangiavano una volta tanto».

Intanto, è tempo d’estate. E delle sue Sfumature di Giallo. Un dessert fresco e solare, summa di semifreddi (senza uova) all’ananas e al limone, cremoso al mango e biscotto morbido al riso e mandorle. In taglia maxi e mini. Non dimenticando Viola, sintesi di mousse allo yogurt, semifreddo ai mirtilli e biscotto gluten free al cacao. Con corona di more a suggellare il tutto.


Cristina Viggè
fonte: https://www.identitagolose.it/sito/it/97/23765/dolcezze/grazia-mazzali-e-la-purezza-della-margherita.html?p=0&fbclid=IwAR2GG8cPsO09gIprW8lpU8R3gRKao9DV49I7GDg46sh0sB8BuFN7wrYIDzU

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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